FFX: Diario di un Platino probabilmente fallito, Parte 1

1 luglio 2023

Partiamo col dire, dopo questo lungo silenzio, che io non sono una che platina. A tratti mi piacerebbe, a tratti mi atteggio da superiore a certe dinamiche malsane; a tratti mi autoconvinco che il Platino è una vile meccanica al confronto degli elementi più nobili della narrativa; a tratti invece scelgo la via dell’onestà e ammetto semplicemente che non mi riesce.

Non è una questione di concentrazione, eh. Malgrado la mia natura di persona che deve avere per le mani minimo 45 progetti al giorno altrimenti mi viene l’ansia che sto buttando la mia vita nel cesso, con conseguente calo della concentrazione che deve essere ovviamente divisa per 45, se un gioco mi prende, come i miei amici sanno, non faccio altro che rigiocarlo e ripulirlo fino all’osso per 6/8 mesi senza pensare ad altro, mentre non disegno altro e non scrivo altro. Infatti non ho ancora iniziato FFXVI, perché ho come il sospetto che risucchierà tutta la mia vita e l’estate non è un buon momento per rinunciare al mondo esterno.

Se si tratta di trarre un’intricata conclusione teorico-narratologica da un gioco di sguardi in un microsecondo di cutscene, contate pure su di me; ma se devo sparare a dei bersagli in movimento per tot volte consecutive, rivolgetevi a qualcuno che abbia coordinazione mente-corpo. Nei giochi di abilità semplicemente non sono abile, nei collezionabili perdo il lume della ragione dopo due ore scarse, ricominciare un gioco a difficoltà massima mi riempie di disagio, con i rompicapo mi spazientisco come quando la gente mi parla troppo lentamente (quindi i capi li rompo, ma quelli degli altri molto prima del mio), e i super boss? Diciamoci la verità: è difficile battere il super boss segreto finale di un GDR quando ti metti a giocare con una canna e un gin tonic, e dopo pochi minuti biologicamente sei un bradipo che confonde Extrapozione con Ago Dorato.

Quindi naturalmente cos’ho fatto, in questo 1 di luglio che ho ripreso un vecchio salvataggio di Final Fantasy X con l’idea di concedermi qualche ora di comfort la sera dopo dodici ore di lavoro quotidiano senza giorni liberi da maggio a ottobre? Avete indovinato, ho deciso di provare a prendere il Platino.

Il Platino di Final Fantasy X magari per qualcuno dei miei lettori sarà stato niente più che un dosso fastidioso lungo la strada del backlog. Per me è un crimine ai danni dell’umanità che dovrebbe essere stato bandito dal Consiglio di Ginevra. Sapete già di cosa sto parlando: i 200 fulmini, le Sferografia, il blitzball, lo Zoolab, il Drakoken.

Per cui ho deciso di tenere un diario, dato che fin da ora sto pronosticando un progressivo tracollo della mia salute, il che naturalmente è la cosa più avvincente da leggere da che mondo è mondo.

2 luglio 2023

La serata, malgrado una giornata lavorativa da sparo fra El Niño e la gente che anziché rinchiudersi in manicomio decide di venire in vacanza da noi, si presenta carica di speranze e promesse per un futuro radioso. Col mio bravo ventilatore a piantana e il mio buon divano con l’esatto calco del mio culo e dei miei cani, sto sorseggiando un Americano fatto in casa e giocando a blitzball e mi rendo conto che in realtà è facilissimo. Poi, in fin dei conti, in un 15 minuti una partita la fai. È vero che questo vuol dire che in un’ora ne fai solo quattro, ma scelgo di non pensarci.

Ho reclutato i giocatori consigliati da un buon redditor che ha dedicato a questa ricerca gli anni migliori della sua vita, ho fatto le faccende, ho mangiato mezza pizza e niente mi può fare del male. Sono le 23 e gioco fino all’1. Vado a letto sapendo che è solo questione di 2/3 giorni prima che tutti gli Slot di Wakka siano in mio possesso.

Poi mi avvedo che ho fatto se va bene undici partite, e pure nella lega sbagliata. Ma sono ancora ottimista.

4 luglio 2023

Oggi è il compleanno del mio corgi e sono sicura che questo mi porterà bene. Motivo per cui farmo le Rovine di Omega per approssimativamente 35 minuti prima di concludere che sono ormai il guerriero più forte di tutta Spira, e che di conseguenza non ci saranno problemi a gestire Dark Valefor, il più cretino di tutti, senza Zanmato. Dopotutto che ci vuole: il combattimento di FFX è una cosa di strategia, se uno si concentra come si deve non c’è niente di impossibile.

Certo è vero, non ho nessuna arma particolare, le mie protezioni consistono in “HP +3%” e “Difesa veleno”, non ho nessuno in Turbo e non ho nemmeno collezionato tutte le Limit, la Sferografia la faccio quasi a caso, sono uscita da Zanarkand sottolivellata quattro ore di gioco fa a stento, e ho dovuto rifare il Custode Celeste 3 volte come un’autentica fallita, ma voglio dire, ho ucciso un sacco di Demomonolit, sono o non sono ganza?

Mi appresto dunque a scarpinare fino a Besaid, con l’aeronave che mi molla a 66 km dal centro abitato, l’insopportabile lentezza del trotto di Tidus e tutti quei budini ogni 4 metri. Vengo accusata di essere un’infedele da un prete yevonita con la testa a forma di uovo alla coque e inizio il combattimento sapendo nel mio cuore che tutto andrà a meraviglia.

Shottata da Dark Valefor con Freccia Raggiante.

5 luglio 2023

Avendo compreso che il combattimento non è attualmente il mio asset migliore, stanotte decido di dedicare le mie due ore libere a varie ed eventuali, tra cui recuperare Anima.

Dopo aver fatto tre bucati passeggio pertanto i cani nella campagna buia e pacifica, spalanco la finestra godendomi il canto degli uccelli notturni e i mille aromi del bosco e dello stallatico, accendo la candela Zara Home che non profuma di “citro di Capri” nemmeno a pregarla in ginocchio, accendo perfino il proiettore di aurore boreali per creare l’atmosfera lisergica che si confà al mio piacere psicotropo serale, e mi sdraio felice circondata dai miei cani e gatti.

Recatami al tempio di Baaj, vengo uccisa due volte da Josguein. Smettetela di ridere. Avevo dimenticato le protezioni da Pietra. Fortunatamente al terzo tentativo, Rikku livellata sulla sferografia di Auron e Wakka assesta al pangasio una manata da 9999 danni (non ho danni Apeiron, SMETTETELA DI RIDERE vi dico) che risolve la situazione. Entro nel tempio carica di aspettative.

Accendo una statua dopo l’altra, beandomi dell’abilità e della diligenza con cui ho conquistato tutte le Sfere della Distruzione.

L’ultima statua non si accende.

La Sfera della Distruzione a Zanarkand andava presa in seconda battuta dopo aver ottenuto l’aeronave. Le bestemmie contengono troppe sillabe per tutto quello che ho fumato, di conseguenza la fatica dell’esistenza mi annienta e vado a letto.

8 luglio 2023

Ho avuto una giornata troppo intensa per dedicarmi alla Piana dei Lampi, ma a causa di un aperitivo particolarmente gioioso e rinforzato mi sento perfettamente in grado, sbagliando, di affrontare Zaffa Chocobo.

Essendo una persona giudiziosa ed essendo passati molti mesi dall’ultima volta, decido di riscaldarmi con tutti gli addestramenti chocobo precedenti. Nonostante i miei tempi in un semplice Hic Hic Chocobo si aggirino fra i 25 minuti e le due ore e mezza, decido in modo del tutto arbitrario che sono pronta per sfidare la signora. Dopotutto basta prestare attenzione e beccare per fortuna un buon set-up iniziale dei palloncini, quanto può essere difficile schivare qualche gabbiano?

La nottata si conclude con un tempo record di 7 secondi. Non ho ancora perso l’ottimismo, ma da qualche parte dentro di me sto iniziando a rendermi conto di essermi imbarcata in un’impresa che va al di là delle mie forze.

Comunque non è colpa mia se i palloncini sono programmati male.

10 luglio

Dopo una sessione di giardinaggio serale e un sushi delivery la Zizzo propone di giocare un po’ a FFX, dopotutto è una cosa rilassante, ti metti lì sul tuo comfort game a svolgere azioni meccaniche mentre chiacchieri amabilmente con una birretta in mano, è praticamente la situazione più chill che si possa immaginare, e poi in fondo non bisogna avere fretta col Platino, un passo alla volta, un piccolo miglioramento ogni sera, in fondo chi ci rincorre, chi può veramente ostacolare la tua serenità quando sei presa bene e hai deciso che la vita la prenderai con calma?

Appena vedo la schermata del blitzball spengo il gioco perché mi vengono gli onconi all’esofago.

Ho l’impressione che questo sarà un diario molto lungo.

Un altro giro su Final Fantasy X

Viene il tempo, ogni venti/venticinque mesi più o meno (sì, lo misuro in anni di infante), in cui decido di rifarmi un giro su Final Fantasy X; la procedura è sempre la stessa: inizio e mi rompo le palle, superata Luka comincio a fomentarmi e decido che prenderò il platino, arrivata alla Piana della Bonaccia mi strusciano i coglioni in terra, e infine mollo tutto dopo la boss fight di Seymour sul Gagazet. So che va così tutte le volte, eppure continuo a ripetere l’esperienza sempre uguale.

Final Fantasy X è stato il mio primo Final Fantasy. Certo ci sono stati il VII e l’VIII, ma non li ho mai giocati personalmente perché ero davvero piccola, e li ho visti giocare a mio fratello. Riguardo al VII c’è anche un post, mentre riguardo all’VIII non c’è niente perché purtroppo mi annoia da morire.

Final Fantasy X però è il primo che ho giocato e completato da sola, ed è un peccato che all’epoca non ci fosse il platino perché, a undici anni, con una coordinazione mente-corpo che oggi a 32 mi è purtroppo sconosciuta, ero riuscita a fare veramente tutto quello che il gioco aveva da offrire, incluso quell’incubo fra la sentenza alla berlina e la tortura di Torquemada di Zaffa Chocobo. Non sono mai più riuscita in seguito ad avere tutta questa pazienza. A ‘sto giro per esempio ho rinunciato ai 5 forzieri dei chocobo del tempio di Remiem alla prima avvisaglia di esaurimento nervoso, che si è presentato pressappoco alla seconda gara. Il platino si è rivelato un’idea decisamente ambiziosa.

E dire che l’ho giocato veramente mille volte. Non sono particolarmente fan della storia d’amore, non shippo nessuno dei personaggi (che per la sottoscritta è una sensazione alquanto mutilante), non lo considero il migliore e nemmeno uno dei miei preferiti, e a dirla tutta certe scene sembrano diventare più cringe mano a mano che invecchio.

Ma non so cos’è, se il senso di comfort ossessivo-compulsivo che mi dà la Sferografia Master con Rikku che rifila a un verme del deserto una legnata di Antiscutum che lo leva di sentimento, se il sistema di combattimento così rassicurante con quella bella musichetta festosa, o ancora se sia per il design, con quegli schemi di colori all’LSD e quegli NPC i cui abiti sono solo a 2 cm di distanza da avere tutto l’apparato riproduttore en plein air. C’è qualcosa di Final Fantasy X che è pura pace per me, e che mi ingiunge una nuova run ogni massimo due anni.

Potrei annoiarvi con tutti i ricordi di infanzia che ho su questo gioco, ma ho deciso di risparmiarvi e di accordarvi una semplice carrellata: io e i miei migliori amici che viviamo le estati della prima adolescenza a ricordare questo gioco della nostra infanzia mentre passiamo le giornate al mare; io che mi chiudevo in mansarda per giocare, da piccola, mentre MTV mandava i Gazosa, Valeria Rossi e naturalmente Sexy di French Affair, che ascoltavo avidamente malgrado all’epoca dovessi far finta con tutte le mie forze di essere metallara; la sensazione di rimanere a bocca aperta di fronte a tutto quel ben d’Iddio, le ambientazioni, le statue nei templi, i mostri, le cutscene, gli outfit dettagliati con tutti quei gingilli, Yuna in versione PAL che sembrava un barattolo rintozzito, e naturalmente la prima volta che scopri la verità su Yevon e ti senti come se fossi entrato in un intrigo ecclesiastico che francamente il Codice Da Vinci è un dilettante della domenica.

Niente hype su Twitter, nel 2001; e così giocavi veramente in grazia d’Iddio, senza nessuno che ti metteva ansia, senza dover finire in 3 giorni perché ormai ti è entrata la frenesia sociale, senza il solito mutual che tutti i giorni si lamenta in toni bellicosi che il gioco fa schifo e che chi lo compra si deve far curare, senza dover evitare gli spoiler e senza entrare in contatto a tutte le ore con centinaia di altri giocatori, un terzo dei quali insopportabili e un altro terzo che non hanno capito nulla, con quel terzo che si salva per carità d’Iddio. Gli anni 2000 erano anni assai bucolici.

Ci sono delle cose, giocandoci adesso, che sopporto male. O che per meglio dire mi triggerano il buon senso comune tipico degli adulti.

Anzitutto non mi capacito del fatto che un intero volume chiamato Dizionario Albhed serva ad apprendere soltanto una lettera. Ho capito che Tidus non è la stella più brillante del firmamento, ma che dalla lettura di un intero tomo sia riuscito a trarre come unico insegnamento la lettera “R” è un concetto che non riesco più a capire.

Non riuscirò nemmeno mai a farmi una ragione di quanto mi devo spaccare le palle nel Chiostro di Bevelle. Non serve nemmeno che aggiunga altro, credo: c’è qualcuno a cui piace il Chiostro di Bevelle, escludendo quelli a cui piace essere bruciati sui genitali dalla cera bollente? Negli anni mi sono impuntata più volte a fare i chiostri senza guida perché “Ma insomma, che sono stupida?” Ma quello di Bevelle NO. Quello riesco a sbagliarlo anche con la guida

E che dire di Tidus che non possiede quella conquista della civiltà contemporanea che è lo Sprint, e che procede con quella sua andatura molleggiata alla velocità di una lumaca, cosicché ci metti quattordici giorni ad attraversar il deserto di Sanubia? Anche il fatto che non si possa saltare, per me che attualmente passo il tempo girando per la Aetherite Plaza di Ul’Dah saltando come un’imbecille in cerchio, è una cosa che mi disturba.

E perché sempre Tidus che è il più pregiato giocatore degli Zanarkand Abes abita in una boat house di 10mq nei quartieri più malfamati del porto?

Quando invecchi cominci a bubbolare di tutte queste cose; ma anche ti rendi conto che alla fin fine Rin delle Case del Viante è un bel daddy e ti preoccupi perché fra 3 anni hai l’età di Auron e ti rendi sempre più conto che non sembra così vecchio per un 35enne, ma anzi che essere degli antichi catorci con ambo i piedi nella fossa a 35 anni è perfettamente realistico.

Final Fantasy X è una fucina di ricordi davvero preziosi, al punto tale che in diverse occasioni in macchina con gli amici dopo una serata è partita la Ola quando lo shuffle ha proposto Suteki da Ne. Non è stato solo un grosso punto di svolta nella mia carriera amatoriale di disegnatrice con tutti quei colori e quelle treccine a cazzo, e un grosso insegnamento su come costruire dialoghi pregnanti di significato (ovviamente mi riferisco ad Auron prima dello scontro con Yunalesca, eh, non a Tidus che sputa un polmone sulla terrazza di Luka). Non è stato solo materiale per fan fiction davvero cringe, con degli OC rudimentali rasentanti il ridicolo e che tendevano clamorosamente a copulare con Seymour Guado.

Penso che sia stato soprattutto il primo vero amore, la prima volta che qualcosa iniziava a girare per davvero, e il videogioco che per quanto mi riguarda ha aperto la pista a tutti i videogiochi. Ancora oggi è la mia garanzia di trovare qualche ora al giorno di pace per qualche giorno, di astrazione, di “i ciclisti francesi e i turisti svizzeri supponenti spariscono, i preventivi e le fatture non esistono più”. Una storia fra il comfort del conoscerla ridicolmente a memoria e l’affetto di rivedere una certa scena dopo anni come una faccia amica.

Perciò scusami Final Fantasy X se ti mollo sempre a un passo dalla fine perché dopo 20 giocate non sopporto più quella Piana di merda… e grazie di tutto.

PS: Vi ricordo che la vostra affezionatissima ha una serie di one shot in corso dedicata agli Intercessori e che, se volete veramente farvi un regalo da fan del X, dovete leggere questa qui.

La mia adolescenza casual su World of Warcraft

Era l’adolescenza, l’Età Classica della mia vita: non tanto perché andassi al Classico, cosa che spiegherebbe la mia ampollosità ma non renderebbe comunque conto di questa battuta di merda, ma perché se dividiamo le fasi della mia vita finora, sicuramente i miei 17 anni sarebbero stati l’Età Classica — un tempo pieno di scomodità, crudeltà non necessarie, Lucky Strike e margaritas, per non parlare dei rischi sanitari di un certo livello di fatalità (tipo quando la mia amica ubriaca mi vomitò nell’orecchio mentre dormivamo in sedici in un matrimoniale pieno di cenere), successivamente idealizzato e identificato dagli storici come culla dell’Occidente.

Oggi, anche se so che non è vero, mi sembra di essere stata felice per benino solo allora, quasi che in quegli anni io sia riuscita a essere spontanea per l’ultima volta senza mangiarmi le mani subito dopo. Ci sono tante cose di cui ho un ricordo esageratamente bello ma se vai a guardare poi estrapoli dalla torba della memoria un bel fastello di schifezze — non così uno dei ricordi che amo di più della mia adolescenza, ovvero World of Warcraft.

Non credo sia essenziale starvelo a presentare. Immagino lo conoscano tutti almeno di fama, anche se per molti di voi sarà un residuo old school di tempi remoti, come Bush presidente, i Baustelle o il Millennium bug. Io a dire il vero non so nemmeno se esista ancora. Come quando frequenti una persona intensamente per qualche anno, poi ne perdi le tracce e dopo un decennio ti domandi se in fin dei conti questa cosa sia successa davvero. Che fine avrà fatto World of Warcraft? Si sarà poi trovato un’altra ragazza? Ho il timore che il WoW che giocavamo noi in quegli anni (circa 2006/7) oggi si chiami addirittura Classic WoW, tanto per darci la misura di quanto la tomba ci chiami, con un’attrazione gravitazionale ormai imbarazzante.

Come abitante di Azeroth (provincia di Sporeggar) ero arrivata tardi e procedevo lenta, per cui, se anche producevo la mia parte di PIL farmando dungeon che il resto della popolazione aveva esaurito da mesi, non si può dire che facessi parte della vera forza lavoro. Per lo più stavo nella stanza ripostiglio dove avevamo messo il computer a casa di babbo in quegli anni, coi poster degli Iron Maiden e di Pirati dei Caraibi e il portacenere pieno, e giocavo anche fino a molto dopo che avevano iniziato a bruciarmi gli occhi, una pratica che ora mi è sconosciuta perché se gioco 45 minuti poi mi rompo il cazzo e chiudo “perché meglio non stimolarsi dopo le 21 che se poi non dormo 8 ore domani c’ho il cerchio alla testa”.

Da sempre casual gamer fino nel midollo, e principalmente anche terrorizzata dalla possibilità dell’interazione con quegli strani esserini aggressivi che con uno strano gergo si insultavano al microfono per tutta la durata della sortita e appendevano il priest come un prosciutto festivo per una giocata sub-standard, non mi ponevo come obiettivo di arrivare ai contenuti endgame (per fornirvi un contesto della preistoria, era Burning Crusade) e quindi nemmeno di fare raid. Avevo la mia gilda che raidava, senza infamia e senza lode, ma che aveva i suoi RPers placidi e senza ambizioni, come la sottoscritta.

Miglioravo il mio inglese parlando e giocando di ruolo con un’amico britannico appassionato di escursionismo e curioso di cucina italiana, due cose di cui non capivo un cazzo all’epoca, con sua buona pace che pensava che una toscana potesse aiutarlo a dipanare questo tipo di argomenti. Quando usavo l’alt Troll provavo pure a parlare il lingo giamaicano, anche se non oso immaginare la catastrofe culturale che le mie approssimazioni verosimilmente offensive possono aver originato in tutto il mar dei Caraibi. Ma chi se ne frega, tanto non c’era un’anima su Sporeggar! Quelli che c’erano, erano tutti oltre-Portale, e a me Azeroth sembrava quello che mi sembrarono in seguito nel 2020 i parchi giochi deserti in una giornata di sole durante il lockdown. Ero arrivata dopo che tutti i bambini avevano già giocato e si erano stufati, e adesso avevo il mondo “vecchio” tutto per me. Certo non c’era nemmeno nessuno per fare dungeon in gruppo, ma io, per dirvi, al mare ci sono sempre andata in inverno perché comunque la gente mi fa senso.

Oggi non mi ricordo nemmeno come si chiamava in game il mio amico inglese, ma stranamente ricordo che il suo vero nome era Glynn.

All’epoca se ti assentavi dal gioco perché eri malato non è che lo scrivevi su Telegram (o è Discord? Non so come comunicano i giovani pro). Facebook venne fuori solo dopo un anno che conoscevo questo tizio. Quando tornavo dopo l’influenza, dopo essere stata malata 15 giorni a casa di mamma senza computer, mi beccava subito in whisper; gli dicevo che stavo fumando una sigaretta e mi faceva la ramanzina che mi avrebbe fatto male alla bronchite. Mi ricordo che chattavamo via whisper per ore; credo che oggi metà della mia TL su Twitter griderebbe al grooming. Oggi l’Età Classica ha lasciato il posto al disincanto industriale, fra lo steampunk e il grunge, e i vent’anni sono passati come i trenta, tutti popolati di piselli a ricerca attaccati a cinici predatori del dating, e faccio fatica a essere ancora candida — eppure per un po’ mi piacque pensare che Glynn chattasse volentieri con me perché eravamo amici. E zitti voi, là in fondo, non è mica detto che fosse gay! … sì, vero? Sì, dai. Era sicuramente gay.

Mentre i miei amici di livello 70, che all’epoca era il cap, accostandomisi con pazienza mista a paternalismo, o forse perché dopo essere stati connessi per 10 ore si cominciavano a spaccare un po’ il cazzo, mi portavano a spasso nei dungeon iniziali (solandomeli, praticamente, con me che cercavo di aiutare coi miei patetici coltellini) per coprire il mio secco culo di Blood Elf di loot avanzato rispetto al mio livello attuale, e mentre passavo i dopo cena con una Coca Cola a guardare mio fratello che varcava il Portale fra i primi con la sua gilda, di pomeriggio mi sfiziavo di un’ora di studio (scarsa, solo per il protocollo) prima di precipitarmi su Azeroth. Questo spiega come mai io continuassi con grande coerenza a non capire un cazzo alle interrogazioni di chimica, ma anche come mai a quel tempo fossi così impaziente che il “mio” pomeriggio iniziasse. Era il mio tempo extra-tempo. Il mio ex, a cui i videogiochi non sono mai interessati, languiva sul divano in paziente attesa che io mi disimpegnassi, mentre giocavo col mio migliore amico come pubblico, tutti i giorni, quando non avevamo davvero mai un cazzo da fare. A disimpegnarmi non ci pensavo nemmeno.

Era il mio primo MMORPG e davanti alle sue meccaniche ero un po’ come il proverbiale cavernicolo che trasecola di fronte all’istituzione del fuoco; per restare nell’Età Classica, ero tipo come Archimede di Siracusa che corre per strada gridando “Eureka!” perché ha scoperto l’idrostatica del proprio culo immerso in una vasca. Era incredibile per me stare nella stanza accanto a mio fratello, sospendendo la vita reale e la sua desolante povertà di mistero per viverne un’altra, un’avventura, in un altro modo dove non eravamo parenti, avevamo le nostre vite separate eppure ci incontravamo in giro per Orgrimmar, con quel “Toh!” pieno di gioia di quando incontri una faccia amica in mezzo a nomi che non ti ricordi. Il tempo scorreva per tutti, il mondo era popolato di persone in simultanea. Non so, a pensarci oggi sembra quasi banale.

WoW era pieno di lore, come molti di voi saprete, e io facevo fatica a contenere la creatività mentre giravo per decine di regioni che tutti i giocatori di livello alto avevano disertato da un pezzo, ognuna con il suo nome che suggeriva una storia, con delle rovine e dei dungeon che letteralmente ti urlavano nell’orecchio un background troppo ghiotto per poter essere ignorato. Quando dico “facevo fatica a contenere” quello che voglio dire ovviamente è che non contenevo proprio un cazzo: produssi decine di disegni e tonnellate di pagine di long fic in cui mescolavo il lore, le mie invenzioni e perfino i personaggi dei Call of Blood, ossia la gilda di cui faceva parte mio fratello. Naturalmente questo sferrò il colpo di grazia al mio rendimento in chimica.

Dicevo dei Call of Blood. Erano, costoro, la gilda record del server, quelli che riuscivano a raidare Illidan dodici volte a sera ma che, soprattutto, riuscivano a non impiccarsi all’architrave del solaio dopo quei dodici giri di dungeon in cui ciascuno dei partecipanti era stato variamente insultato per non aver saputo produrre un rate di DPS adeguato alla forbice prevista da quattro diverse ordinanze in carta intestata che tutti i membri si vedevano recapitare a casa dal Maresciallo dell’Arma dei Carabinieri. Per di più, era impossibile per loro apprezzare lo scenario graficamente approssimativo (credo che WoW avesse una grafica molto leggera anche tenuto conto dei tempi) della Coilfang Reservoir o del Black Temple, giacché la loro schermata si presentava tappezzata di add-on, i quali li tenevano costantemente informati circa i danni, l’aggro, i nemici nelle vicinanze, il tasso di ossigenazione nel sangue (scarsissimo) del raid leader, la precessione degli equinozi e fornivano inoltre una serie di shortcut per le azioni a catena di più elevata frequenza e un meccanismo che distruggeva la scheda madre se il giocatore era afk per più di 1,5 minuti, il tempo ritenuto appropriato dal Ministero per andare a pisciare.

Io ne avevo un giusto timore, ma era divertente passare le serate stando col fiato sospeso quando le cose si mettevano male e facendo una sorta di shitpost orale riguardo tutto quello che accadeva in raid.

Mi ricordo che quando vedevo in giro la gente dei Call of Blood facevo lo screenshot. Capito come? Paparazzavo i miei meme umani mentre accentravano su di sé tutto il capitale dello stock market di Orgrimmar o mentre flexavano l’ultima mount di Zul’Aman o semplicemente mentre erano afk nel remoto bugigattolo dove io ero andata a infilarmi. Se pensate che le idol giapponesi se la passino male nel tritacarne mediatico di una società della vergogna che non conosce la privacy, non avete presente che vita di merda dovevano fare i Call of Blood che non potevano nemmeno nascondere un’amante incinta a Thunderbluff, dove c’era poca gente, gli affitti erano favorevoli e il vicinato discreto, senza che io screenassi il tutto mentre facevo il balletto di Toxic.

Chissà perché smisi di giocare a WoW.

Il mio ultimo ricordo chiaro è la Swamp of Sorrows. Trascorsi tanti giorni lì dentro a farmare il mio draghetto smeraldo da compagnia — se non ricordo male era uno dei più rari. Sicuramente ci saranno stati modi più efficienti di procurarselo, ma io me ne stavo lì, impaludata fino agli occhi, con le mie daghe e la mia etica della frontiera, a sudarmi il mio pet. Il resto del mondo seguiva i Call of Blood nella scoperta dell’ultima espansione e io completavo la mia long fic e farmavo i whelpling, piccolo proletario volenteroso che grinda onestamente il pane quotidiano.

A dire il vero, a pensarci adesso, devo aver sterminato 700 draghi per procurarmene uno da tenere come animale domestico, il che in effetti è così disturbante che credo che censurerò questo pensiero.

Non c’era letteralmente nessun passante nella Swamp of Sorrows. Tutto quello che doveva succedere nel gioco stava succedendo altrove, oltre il Portale, nessuno cercava lavoro nella chat di zona, il Sunken Temple mi dava quel vibe da relitto dimenticato del passato, nessuno passava dicendo “kek bur” al volo. Se me ne andavano in stealth per le zone dell’Alleanza non c’era nemmeno da preoccuparsi che mi shottasse qualcuno, perché le regioni di Azeroth ormai erano popolate solamente dagli alt mezzi dimenticati di quelli che si erano trasferiti nei contenuti di Burning Crusade. Avevo questa sensazione di aver trovato la mia sacca di spazio-tempo in cui niente poteva disturbarmi, e potevo restare anche tutto il giorno immersa in una fantasticheria in mezzo alle rovine virtuali.

Chissà perché smisi di giocare a WoW.

Viva Piñata mi ha rovinato la vita

Se dico Viva Piñata non credo di accendere una lampadina nella memoria di qualcuno di voi; mi lancio nella stesura di questo articolo vintage ben consapevole di rivolgermi ad un bacino d’utenza di 4 persone in tutto l’universo, che tra l’altro magari nemmeno frequentano il mio blog. Diciamo che a me di far contento l’algoritmo, purtroppo, non vuole interessare.

Io avevo 18 anni quando entrai in un negozio anonimo di videogiochi del paesino dove facevo il liceo. Avete presente quei negozi ormai in via d’estinzione, che non erano Game Stop o altre catene, gestiti dal proprietario, uno di quegli omini con gli occhiali? All’epoca, avevo una giustificazione autografa nello zaino per uscire prima di educazione fisica (ah, la maggiore età!) e un intero apparato sentimentale da ripristinare dopo la fine di una relazione durata per tre anni di puro bisogno di frequentare, usare e vampirizzare qualcuno, non importa chi. Perciò, in effetti, non deve sorprendere che io me ne sia uscita dal suddetto negozio con in mano un gioco Xbox 360 basato su adorabili animaletti fatti di caramelle e splendidi giardini in fiore. 

Un Horsetachio

Aspettavo l’autobus col gioco in mano, in compagnia del Polpo; prendevamo in giro una compagna che fumava reggendo la sigaretta con le pinzette per non farsi scoprire dai suoi a causa della puzza sulle dita, ridevamo a sproposito, trovavamo nickname tratti dalle varie fasi dell’apparato escretore per il mio ex, fumavamo Lucky Strike perché all’epoca non costavano ancora 67 € a pacchetto e, come tutti i diciottenni cinici della piccola borghesia che abitano in riva al mare e che vanno bene al Classico senza sforzo e non facevano un cazzo a giornate a parte litigare coi gamer sui forum, eravamo del tutto ignari di essere felici. Io sapevo che sarei tornata a casa accendendo simultaneamente l’Xbox e una sigaretta e avrei calmato i miei furori tardo-adolescenziali su un’isola popolata di magnifici animaletti. 

… Eppure spesso la realtà ama prendere le nostre aspettative a badilate nelle costole fin quando esse non giacciono a terra con i polmoni maciullati. 

Ve la voglio fare breve, per una volta: Viva Piñata non è un gioco per stomaci delicati.
Sembra un flag dal vecchio Erika Fan Fiction Page, lo so, ma vi dico che se quel gioco non è stato segnalato come vietato ai minori di 88 anni è solo per un imbroglio di marketing tra i più biechi. 

Tutto comincia con un giardino in avanzato stato di abbandono e con la certosina operazione di rimetterlo a partito. Con badili e vanghe, qualche suino disceso dal cielo sulle ali di una bestemmia e tanta pazienza, il giardino è rimesso a nuovo; qui subentrano poi i talenti da life simulator, che puoi avere o non avere. Io non li ho, per esempio.
Per dire, la mia isola in Animal Crossing è sempre stata un simpatico sobborgo fra il cottagecore e il “non ho voglia di spostare sta roba co sti comandi di merda”, del tutto inadeguata a confronto con le regge di Caserta e i Kew Gardens visti da altri islander su Twitter; e su Viva Pinata il mio giardino è sempre stato un clutter disaster collocato in un punto paradossale fra il decorativo e l’avvilente.

Ad ogni modo, con la dabbenaggine che mi contraddistingue, diciamo che il giardino è zappato e coltivato a trifoglio, e che tutto fin qui procede liscio.

Le prime Pinata per tutti, praticamente l’entry level dell’ansia perché il gioco, sulle prime, mica te lo dice che sti poveri cosi si riproducono a velocità allarmante per poi diventare cibo sacrificale

Arrivano le piñata.
Teneri animaletti che giungono in visita in una veste in bianco e nero, aspettando di stanzializzarsi e diventare a colori; in pratica, tutte avevano dei requisiti di comparizione (ai bordi esterni del giardino), poi di visita vera e propria, e quindi di stanzializzazione.
In breve, laddove “breve” è la misura di un intero pacchetto di Lucky e del transito del Sole dallo zenit fino all’ora di cena, il giardino si colma di adorabili piñata, che possono essere decorate anche con accessori o addirittura geneticamente modificate a varie condizioni: emblematico il mio Buzzlegum grasso col berrettino da comandante di Marina, o il mio Taffly col culo a sposa che prende fuoco su una torcia a olio per trasformarsi in una ReddHott.

Ah, notate bene. Sono passati 13 anni da allora e non ho dovuto nemmeno cercare i nomi — giusto per introdurre gradualmente la misura del mio investimento intellettuale in questo gioco. I miei preferiti erano i Newtgat, perché erano axolotl dagli occhioni teneri: ne avevo più di dieci, e di diverse varianti di colori. C’era una wikia dove guardarseli tutti, e io che non avevo mai giocato a un gioco di questo genere mi sentivo come un pioniere anni ‘10 alla scoperta della genetica. 

I miei Newtgat non rimasero più di dieci a lungo.

I piccoli Newtgat

Dato il mio florido allevamento di Taffly, mi resi conto di aver attratto le attenzioni delle piñata rana; queste non me lo ricordo come si chiamavano. Comunque cominciarono a litigare coi Newtgat, scagliando contro di loro oggetti contundenti.
I Newtgat si ammalavano, costringendo il giocatore in una lotta contro il tempo (e contro le impostazioni di un cursore e una telecamera a seguito banditi dal Consiglio delle Nazioni Unite) per chiamare il dottore, il quale solitamente si incastrava in quella graziosa ruota di carro decorativa che avevi piazzato in mezzo ai coglioni perché “tanto ci si passa uguale”.
Il dottore si disincastra dalla ruota di carro appena in tempo per salvare il Newtgat… ma non ti sei accorto che dall’altra parte del giardino, che hai espanso a dismisura in nome del capitalismo più laido (e di cui hai finito per perdere il controllo a causa dell’estensione, come un novello Alessandro Magno), un teppista mascherato da idolo maori ha disposto caramelle avvelenate, tipo quei vecchi maledetti che ammazzano i cani dei vicini con le polpette. 

Il tuo Salamango si è mangiato la caramella amara.
E muore. 

Non dico cagate, gente.
In un gioco 4+, la tenera piñata muore, e certamente non muore serenamente in casa sua con tutta la famiglia al suo capezzale e forse qualche cugino in pensiero per la successione: muore perché il dottore ci ha messo più di 30 secondi ad arrivare, e muore ESPLODENDO. Sì.
In fondo sono piñatas. È questa la malvagità dell’intero concept.

Le piñata che muoiono ESPLODONO, diffondendo caramelle in tutto il giardino, di cui i tuoi altri stanziali si CIBANO e conseguente si RALLEGRANO.

Inutili i tuoi tentativi etici di badilare le caramelle perché nessuno possa cibarsi della memoria del tuo Salamango morto, inutili i tentativi di separare un Badgesicle e un Syrupent che hanno preso a randellarsi di santa ragione: ci scapperà il morto.

Se questo gioco non si chiama Gomorra è solo perché il morto in questione è pieno di caramelle invece che di cocaina e informazioni come Ciro di Marzio. 

Presto, la situazione degenera.

Le province orientali del tuo impero si rivoltano, mentre ti ritrovi incastrato in una situazione in cui hai riempito troppo il giardino di oggetti ingombranti e le case sempre più faraoniche delle piñata più grandi non ci entrano più; eccoti allora aprire PIÙ giardini, senza renderti conto della tassa che stai estorcendo alla tua sanità mentale, ormai davvero pericolante. Apri perfino un giardino in modalità “relax”, convinta che questo possa salvarti dallo psicanalista, ma non c’è niente da fare: quando ritorni sul tuo giardino primario, e lo trovi sprofondato nello stato di natura che Hobbes ti devi scansare (prima che le Syrupent a quattro teste fuori controllo ti mangino vivo).

Il karma ti chiede conto del tuo espansionismo, quando i requisiti di stanzializzazione delle piñata più prestigiose si basano su quante tue piñata stanziali queste abbiano divorato; le associazioni per i diritti civili invocano giustizia, ma tu ormai ti ritrovi ad allevare teneri conigli geneticamente modificati con quattro teste solo per darli in pasto a un nuovo residente volpe; e per giunta, all’apice del tuo successo, scopri che quasi tutte le piñata che hai accolto nel giardino litigano e si ammazzano fra di loro appena ti volti un attimo per scavare l’ennesimo laghetto che proprio non ti puoi permettere. 

Disperata, cerchi di salvare il salvabile, recinti tutto, privatizzazione dei lotti agricoli, stangata mortale ai braccianti e ai piccoli proprietari. Ma quei figli della merda dei giardinieri di corvé lasciano sempre i cancelli aperti Maremma traviata, e così le volpi scappano e vanno a divorare i conigli; e se non sono loro, sono gli scagnozzi di Pester a devastare completamente tutte le tue recinzioni. Vi ho detto che Pester poteva distruggere le tue piñata più rare in un colpo solo? Letteralmente un cazzotto sull’occipite? Esplosioni di interiora ovunque, sottoforma di deliziose caramelle. 

Ormai il tuo giardino è il Vietnam. Lontani sono i giorni, all’inizio del pomeriggio, quando adorabili vermetti cincischiavano sull’erba all’insegna della concordia.

E non vi ho mica detto tutto: il professor Pester e i suoi scagnozzi vomitano letteralmente terra sul tuo giardino, trasformandolo in un disastro, distruggono le cose, seminano caramelle avvelenate, menano le piñata. Se vuoi fermarli devi letteralmente corromperli con una largizione di denaro. Per non parlare del totem che ti serve per tenere lontane le Pinata amare: devi averle fatte diventare stanziali per poter sospendere le visite della loro versione amara, ma magari così facendo ti sei messa in giardino l’acerrimo nemico della tua Pinata preferita, e l’unica cosa che puoi fare a quel punto è prendere a mazzate una delle due o spedirle oltreoceano in una cassa di legno.

Come avrete capito, con Viva Piñata non fu, in realtà, in grado di riparare gli strappi della mia vita sentimentale.

A pensarci bene ho sempre considerato casuale il fatto che io abbia boicottato la Windows e non abbia più voluto sentir parlare di Xbox. Ma a questo punto francamente credo che per concepire e produrre un gioco simile sia necessario non solo picchiare i bambini, indossare pellicce di volpe e molestare le vecchiette, ma anche odiare profondamente i propri giocatori.

Per un po’ continuai, ostinata, imperterrita, malgrado l’evidente preoccupazione sul volto di mio fratello, che certo in quel mentre investiva le prostitute e spaccava i denti agli spacciatori a GTA ma NON riusciva comunque a concepire un gioco più efferato di Viva Piñata.

Quando della mia salute mentale, alla morte dell’ultimo Newtgat, non rimase che un cencio stracciato in procinto di immergersi nella benzina e darsi fuoco, infine mi resi conto che avevo sofferto abbastanza. 

… Mentre scrivevo questo affare, mi sono ricordata della cosa più disturbante dell’intera faccenda. Quando una piñata esplodeva in uno scroscio di sangue e un’esplosione di budella commestibili, si udivano dei bambini che gridavano: “Yeeeee :D”. 

Brrrr.