FFX: Diario di un Platino probabilmente fallito, Parte 1

1 luglio 2023

Partiamo col dire, dopo questo lungo silenzio, che io non sono una che platina. A tratti mi piacerebbe, a tratti mi atteggio da superiore a certe dinamiche malsane; a tratti mi autoconvinco che il Platino è una vile meccanica al confronto degli elementi più nobili della narrativa; a tratti invece scelgo la via dell’onestà e ammetto semplicemente che non mi riesce.

Non è una questione di concentrazione, eh. Malgrado la mia natura di persona che deve avere per le mani minimo 45 progetti al giorno altrimenti mi viene l’ansia che sto buttando la mia vita nel cesso, con conseguente calo della concentrazione che deve essere ovviamente divisa per 45, se un gioco mi prende, come i miei amici sanno, non faccio altro che rigiocarlo e ripulirlo fino all’osso per 6/8 mesi senza pensare ad altro, mentre non disegno altro e non scrivo altro. Infatti non ho ancora iniziato FFXVI, perché ho come il sospetto che risucchierà tutta la mia vita e l’estate non è un buon momento per rinunciare al mondo esterno.

Se si tratta di trarre un’intricata conclusione teorico-narratologica da un gioco di sguardi in un microsecondo di cutscene, contate pure su di me; ma se devo sparare a dei bersagli in movimento per tot volte consecutive, rivolgetevi a qualcuno che abbia coordinazione mente-corpo. Nei giochi di abilità semplicemente non sono abile, nei collezionabili perdo il lume della ragione dopo due ore scarse, ricominciare un gioco a difficoltà massima mi riempie di disagio, con i rompicapo mi spazientisco come quando la gente mi parla troppo lentamente (quindi i capi li rompo, ma quelli degli altri molto prima del mio), e i super boss? Diciamoci la verità: è difficile battere il super boss segreto finale di un GDR quando ti metti a giocare con una canna e un gin tonic, e dopo pochi minuti biologicamente sei un bradipo che confonde Extrapozione con Ago Dorato.

Quindi naturalmente cos’ho fatto, in questo 1 di luglio che ho ripreso un vecchio salvataggio di Final Fantasy X con l’idea di concedermi qualche ora di comfort la sera dopo dodici ore di lavoro quotidiano senza giorni liberi da maggio a ottobre? Avete indovinato, ho deciso di provare a prendere il Platino.

Il Platino di Final Fantasy X magari per qualcuno dei miei lettori sarà stato niente più che un dosso fastidioso lungo la strada del backlog. Per me è un crimine ai danni dell’umanità che dovrebbe essere stato bandito dal Consiglio di Ginevra. Sapete già di cosa sto parlando: i 200 fulmini, le Sferografia, il blitzball, lo Zoolab, il Drakoken.

Per cui ho deciso di tenere un diario, dato che fin da ora sto pronosticando un progressivo tracollo della mia salute, il che naturalmente è la cosa più avvincente da leggere da che mondo è mondo.

2 luglio 2023

La serata, malgrado una giornata lavorativa da sparo fra El Niño e la gente che anziché rinchiudersi in manicomio decide di venire in vacanza da noi, si presenta carica di speranze e promesse per un futuro radioso. Col mio bravo ventilatore a piantana e il mio buon divano con l’esatto calco del mio culo e dei miei cani, sto sorseggiando un Americano fatto in casa e giocando a blitzball e mi rendo conto che in realtà è facilissimo. Poi, in fin dei conti, in un 15 minuti una partita la fai. È vero che questo vuol dire che in un’ora ne fai solo quattro, ma scelgo di non pensarci.

Ho reclutato i giocatori consigliati da un buon redditor che ha dedicato a questa ricerca gli anni migliori della sua vita, ho fatto le faccende, ho mangiato mezza pizza e niente mi può fare del male. Sono le 23 e gioco fino all’1. Vado a letto sapendo che è solo questione di 2/3 giorni prima che tutti gli Slot di Wakka siano in mio possesso.

Poi mi avvedo che ho fatto se va bene undici partite, e pure nella lega sbagliata. Ma sono ancora ottimista.

4 luglio 2023

Oggi è il compleanno del mio corgi e sono sicura che questo mi porterà bene. Motivo per cui farmo le Rovine di Omega per approssimativamente 35 minuti prima di concludere che sono ormai il guerriero più forte di tutta Spira, e che di conseguenza non ci saranno problemi a gestire Dark Valefor, il più cretino di tutti, senza Zanmato. Dopotutto che ci vuole: il combattimento di FFX è una cosa di strategia, se uno si concentra come si deve non c’è niente di impossibile.

Certo è vero, non ho nessuna arma particolare, le mie protezioni consistono in “HP +3%” e “Difesa veleno”, non ho nessuno in Turbo e non ho nemmeno collezionato tutte le Limit, la Sferografia la faccio quasi a caso, sono uscita da Zanarkand sottolivellata quattro ore di gioco fa a stento, e ho dovuto rifare il Custode Celeste 3 volte come un’autentica fallita, ma voglio dire, ho ucciso un sacco di Demomonolit, sono o non sono ganza?

Mi appresto dunque a scarpinare fino a Besaid, con l’aeronave che mi molla a 66 km dal centro abitato, l’insopportabile lentezza del trotto di Tidus e tutti quei budini ogni 4 metri. Vengo accusata di essere un’infedele da un prete yevonita con la testa a forma di uovo alla coque e inizio il combattimento sapendo nel mio cuore che tutto andrà a meraviglia.

Shottata da Dark Valefor con Freccia Raggiante.

5 luglio 2023

Avendo compreso che il combattimento non è attualmente il mio asset migliore, stanotte decido di dedicare le mie due ore libere a varie ed eventuali, tra cui recuperare Anima.

Dopo aver fatto tre bucati passeggio pertanto i cani nella campagna buia e pacifica, spalanco la finestra godendomi il canto degli uccelli notturni e i mille aromi del bosco e dello stallatico, accendo la candela Zara Home che non profuma di “citro di Capri” nemmeno a pregarla in ginocchio, accendo perfino il proiettore di aurore boreali per creare l’atmosfera lisergica che si confà al mio piacere psicotropo serale, e mi sdraio felice circondata dai miei cani e gatti.

Recatami al tempio di Baaj, vengo uccisa due volte da Josguein. Smettetela di ridere. Avevo dimenticato le protezioni da Pietra. Fortunatamente al terzo tentativo, Rikku livellata sulla sferografia di Auron e Wakka assesta al pangasio una manata da 9999 danni (non ho danni Apeiron, SMETTETELA DI RIDERE vi dico) che risolve la situazione. Entro nel tempio carica di aspettative.

Accendo una statua dopo l’altra, beandomi dell’abilità e della diligenza con cui ho conquistato tutte le Sfere della Distruzione.

L’ultima statua non si accende.

La Sfera della Distruzione a Zanarkand andava presa in seconda battuta dopo aver ottenuto l’aeronave. Le bestemmie contengono troppe sillabe per tutto quello che ho fumato, di conseguenza la fatica dell’esistenza mi annienta e vado a letto.

8 luglio 2023

Ho avuto una giornata troppo intensa per dedicarmi alla Piana dei Lampi, ma a causa di un aperitivo particolarmente gioioso e rinforzato mi sento perfettamente in grado, sbagliando, di affrontare Zaffa Chocobo.

Essendo una persona giudiziosa ed essendo passati molti mesi dall’ultima volta, decido di riscaldarmi con tutti gli addestramenti chocobo precedenti. Nonostante i miei tempi in un semplice Hic Hic Chocobo si aggirino fra i 25 minuti e le due ore e mezza, decido in modo del tutto arbitrario che sono pronta per sfidare la signora. Dopotutto basta prestare attenzione e beccare per fortuna un buon set-up iniziale dei palloncini, quanto può essere difficile schivare qualche gabbiano?

La nottata si conclude con un tempo record di 7 secondi. Non ho ancora perso l’ottimismo, ma da qualche parte dentro di me sto iniziando a rendermi conto di essermi imbarcata in un’impresa che va al di là delle mie forze.

Comunque non è colpa mia se i palloncini sono programmati male.

10 luglio

Dopo una sessione di giardinaggio serale e un sushi delivery la Zizzo propone di giocare un po’ a FFX, dopotutto è una cosa rilassante, ti metti lì sul tuo comfort game a svolgere azioni meccaniche mentre chiacchieri amabilmente con una birretta in mano, è praticamente la situazione più chill che si possa immaginare, e poi in fondo non bisogna avere fretta col Platino, un passo alla volta, un piccolo miglioramento ogni sera, in fondo chi ci rincorre, chi può veramente ostacolare la tua serenità quando sei presa bene e hai deciso che la vita la prenderai con calma?

Appena vedo la schermata del blitzball spengo il gioco perché mi vengono gli onconi all’esofago.

Ho l’impressione che questo sarà un diario molto lungo.

[FFXIV] A Sprout is born

Per iniziare un nuovo videogioco osservo sempre con religiosità la stessa procedura: 

  1. Lo vedo giocare a mio fratello. 
  2. Mio fratello inizia a parlarmene bene e a farmi vedere varie funzionalità tutto orgoglioso, ma io faccio stoicamente finta di niente con un “Ah, bellino” di circostanza, pensando alla lista praticamente infinita di giochi iniziati e non ancora finiti che ho a casa. 
  3. Le spie della Psicopolizia che abitano nel prolifero ambiente batterico del mio cellulare colgono la mia difficoltà e dicono a Twitter di farmi vedere nella successiva settimana solo contenuti relativi al gioco in esame.
  4. In capo a sette giorni posseggo un arsenale di spoiler sul gioco in questione che non è noto nemmeno agli sviluppatori, conosco la planimetria di tutti i dungeon, ho una mappa concettuale completa di tutte le ship e ho messo nella lista dei desideri di Amazon una cinquantina di artbook dedicati.
  5. Alla fine della settimana sono pronta a firmare la resa, e compro il gioco, in genere dicendo “Alla fine questa settimana non ho mangiato il sushi, quindi ci si rientra agili”.

Naturalmente è successa la stessa cosa anche con Final Fantasy XIV, solo che in questo caso la macerazione è stata più lenta, perché ho avuto quel remoto ma insistente desiderio di giocarlo per anni, praticamente fin dalla sua uscita. Ma non mi ci sono mai messa, e principalmente per un motivo: il trauma riportato con World of Warcraft durante la mia adolescenza. 

Come dicevo altrove, sono stata una giocatrice di WoW molto casual e senza troppe pretese mentre mio fratello, che come al solito aveva dato inizio a tutto, macinava contenuti di livello con altissima produttività aziendale.

Con alle spalle il complesso meccanismo psicologico castrante per cui la mia mente, dall’infanzia, ha sempre ritenuto di essere fondamentalmente incapace di giocare ai videogiochi e di ottenere migliori risultati come spettatrice (quel tipo di spettatore che nel frattempo vorrebbe davvero giocare, ma non se la sente perché non vuole fare schifo), mentre mi dedicavo al mio onesto ma modesto lavoro di gironzolare per le aree del gioco che ormai erano state superate e dimenticate da tutti gli altri giocatori (con me che mi ostinavo a scrivere “LFG” per roba che non si cagava più nessuno), la sera guardavo mio fratello che faceva i raid con la sua gilda, ed è lì, fra un Illidan e l’altro, imparando a memoria frasi come “Akama, your duplicity is hardly surprising” che credo non dimenticherò per il resto della mia vita per averla sentita pronunciare 60 volte, che ho riportato il Trauma. 

Ho assistito nella fattispecie al completo tracollo mentale del raid leader che sbraitava al microfono improperi di ogni sorta quando gli addetti al DPS si facevano ammazzare da un mostro secondario causando un’imperdonabile calo nel prodotto interno lordo di danni per secondo, domandandomi come facevano quelle persone a tornare da lavoro e mettersi la sera al computer di nuovo a beccarsi rimproveri. Permettetemi di resuscitare un antico testo per farvi capire:

Ho guardato con terrore alla schermata di gioco praticamente incomprensibile per il numero esorbitante di add-on che la tappezzava, mentre il leader di cui sopra, con una vena scoppiata nel collo, strillava ordini al gruppo in un bizzarro inglese maccheronico che lasciava molto spazio ai dubbi, e mio fratello raggiungeva un tasso di concentrazione sconosciuto anche a Dr Strange nel tentativo di bilanciare tutta una serie di grafici in cui non capivo nulla. 

Immaginavo i maggiorenti della gilda che facevano le business call nel tempo libero, con i tabulati alla mano dell’apporto di danni di tutti i membri della comitiva, per selezionare solo gli esemplari più forti con un complesso algoritmo aziendale basato su spietati meccanismi di diseguaglianza fondati sulla produttività, il merito e la velocità con cui il soggetto andava al gabinetto bloccando tutto il gruppo. 

Soprattutto ho testimoniato dell’imbarbarimento dei membri della spedizione quando su di essa si abbatteva il mazzuolo del wipe, e tutti cominciavano a darsi la colpa in un inglese che peggiorava minuto dopo minuto. 

A causa di World of Warcraft ho capito che avrei preferito tagliarmi tutte le falangi piuttosto che giocare come healer e trasformarmi così nel punchingball emotivo di tutto il gruppo, e anche che giocare con altre persone mi stressava e che quant’è vero Dio non sarebbe MAI accaduto. 

Quando poi ho assistito a qualche sessione di Black Desert, sempre con mio fratello, la mia convinzione si è rinforzata: il pensiero di imbarcarmi in un dungeon con altre persone che, se sbagliavo l’ordine delle azioni abbassando i danni per secondo con un’imbarazzante flessione dello 0.01%, o se comprensibilmente non capivo un’emerita mazza di discorsi quali “Attack the DDKS with WIEDX while you DKASMNCNS” che è poi come parlano i gamer, mi sarebbero venute a cercare a casa con i forconi ululando che era meglio se andavo in cucina a fare dei sandwich, mi uccideva. 

Quindi naturalmente quella parola “MMORPG” accanto al nome di Final Fantasy XIV mi spaventava non poco. 

Mentre ero completamente affascinata dalle ambientazioni, dai dettagli, dal design, dai mostri e dalle creature e da tutto quello che si poteva fare, avevo anche deciso che piuttosto era meglio ricominciare da capo Theathrythm e sfogarmi così, nel silenzio confortante dell’esperienza single-player che non deve chiedere mai e che soprattutto non viene insultato dalla mattina alla sera perché ha over-aggrato, con l’aggravante di genere che è un altro dei problemi supplementari di cui noi donne dobbiamo occuparci. Nel corso del tempo ho continuato a vedere mio fratello vestirsi di tutto punto con delle armature fenomenali, accompagnato da dei minion così carini da causarmi quasi un collasso, e ogni volta che girava la telecamera c’era qualcosa di meraviglioso da guardare. Ma non ho osato. 

Non so dire qual’è il momento in cui ho ceduto e cosa mi ha fatto cedere di preciso, ma sicuramente un loro peso l’hanno avuto le parole magiche: “Non è che sia un gioco fondato totalmente sui meccanismi che aveva WoW”. Dite quello che volete, ma per me queste sono state le parole magiche. Ho deciso di fare il free trial: se non funzioni come WoW, è una cosa che depone a tuo favore. 

Inizialmente giocavo col controller. Va detto che giocare col controller si può, ho tanti amici che lo fanno e sono persone anche più sensibili di quell’altre, ma come dire, per tutta la prima settimana di gioco ho continuato a smadonnare perché selezionavo il taverniere invece che il levemete, perché mi si deselezionava la mappa, perché non riuscivo a portare il cursore sulle opzioni del mahjong, perché impiegavo venti ore a scrivere cosa mi serviva nella ricerca del market, e perché per mandare una lettera a mio fratello contenente lo stringato messaggio “Eheheh” ci ho messo praticamente tutta la sera. Ma mi dicevo: “Che ne so se il gioco mi prende? Mi compro tastiera e mouse solo se decido di continuare dopo il free trial”. Ovviamente ho comprato tastiera e mouse dopo soli dieci giorni di gioco, pensando fra me e me “Ecco un’altra volta che investo tantissimo in un passatempo che mi durerà sì e no un mese”. Ma l’uomo ripete sempre i propri errori. 

Intanto mi sforzavo di comprendere le meccaniche di gioco.

Da tenera piantina in virgulto, concentrata come un bambino di tre anni che scopre i pennarelli Giotto, senza azzardarmi a staccare un attimo le mani dal controller nemmeno per fumare, procedevo con serietà fra le quest iniziali che ti insegnano a parlare, a fare le emote, a consegnare gli oggetti e via dicendo. Solo che in breve mi sono ritrovata con ottocentoventisei fetch quest iniziate e una gran confusione in testa mentre la signora della gilda degli avventurieri di Gridania continuava a dirmi con sollecitudine: “Ma hai parlato con quello delle Levequest? Ma l’hai fatto il training per i dungeon? Ma ti sei attunata all’Aetherite? Ma l’hai impostato l’home Point? Ma hai iniziato la quest per la discipline of the land? Ma hai tinto i pantaloni? Ma l’hai provato il market? Ma li hai messi i glamour prism? Ma sei andata avanti col main scenario? Ma hai riparato le armi? Ma l’hai aperto il duty Finder? Ma lo segui l’hunting log? Ti ricordavi che le zucchine in frigorifero che hai comprato per sentirti in salute stanno andando a male? Hai mandato la lettura dei contatori?” 

Fare le cose per la prima volta nei videogiochi pieni di funzioni è sempre molto emozionante. Quando ammazzi il tuo primo mostro (nella persona di una povera coccinella che passava sfaccendata davanti ai cancelli di Gridania) ti senti lontano anni luce dal risultato che vuoi raggiungere e che ti sembra non raggiungerai mai, anche se sai che ogni azione ti darà più esperienza e che prima o poi anche tu sarai uno di quei giocatori esperti che parlano un gergo incomprensibile ai profani e fanno tutto in automatico. Sai che prima o poi ti guarderai indietro e non riuscirai nemmeno a riconoscerti nel fanciullo imberbe che approdava a Gridania per la prima volta coi vestitini standardizzati e nessuna idea di cosa dovesse fare, ma sembra che ci voglia una vita ad arrivare a quel punto. Ed è bello così.

Appena è arrivata la tastiera e mi sono sentita, così, sicura di poter comporre il messaggio “ty for the run” senza starci quarantacinque minuti, ho deciso di imbarcarmi nel mondo della duty roulette, quel simpatico metodo per trovare gruppo per i dungeon senza sottoporsi alla disumanizzante procedura in classic WoW che ti faceva mendicare guaritori nella chat regionale. Certo non avevo ancora capito che si puntava il bersaglio con tab, ma sapete quando vi prendono quei momenti in cui dici “Dai lo faccio, e che sono, stupida?”.

I primi tentativi sono stati caratterizzati dall’ansia. Ero abbastanza stupida, in effetti.

In un dungeon ho perso i miei compagni di gruppo, cosa che mi ha portata a correre in giro come una pazza alla loro disperata ricerca prima di avere il coraggio di scrivere “Sorry guys I lost you”. Già mi aspettavo una risposta sulla falsariga di “Stupida inutile processionaria grassa inconcludente ai sensi della catena alimentare, devi interagire con il cristallo dio cane”. E invece, mentre sudavo come un porco: “interact with the Crystal =)”. 
Così. Tranquillamente. 
“Sorry guys, never been here”
“Np”

Np. Così. Pacificamente. Ero quasi commossa. 

In un altro dungeon sono morta perché non ho evitato per tempo una AoE che non mi aspettavo.
“Sorry guys, first time with this boss,” scrivo, prossima a una crisi isterica di pianto, certa che morirò assassinata ma prima sarò infamata per quarantacinque minuti filati prendendo in esame il budello di mi’ ma e la dicitura “Nata a Pisa” della mia carta d’identità. 
“Np =)”

Np. Col sorriso conciliante. Niente Pisa merda. Niente “donna schiava, zitta e lava”. 

Intendiamoci, non mi adagio sugli allori della pacifica comunità di Final Fantasy XIV. Sono ancora fissata a fare i dungeon più semplici la prima volta con un party di NPC (cosa che mi richiede dalle sedici alle trentasei ore) perché la prospettiva di scoprirli per la prima volta con dei giocatori veri e magari di fare un errore cretino davanti a tutti mi terrorizza. In realtà la maggior parte della gente con cui ti ritrovi in gruppo fa quel dungeon per la millesima volta per prendere il bonus giornaliero, e in quattro e quattr’otto sei fuori, che tu abbia fatto schifo o meno; ma del resto mica ci si può aspettare che il Trauma si superi così, schioccando le dita. La verità però è che pur facendo un dungeon al giorno non mi è mai capitato di incontrare nessuno che insultasse il prossimo o che mi bullizzasse perché accanto al nome ho ancora il simbolo dello Sprout. Non riesco ancora a dichiarare che la mia fede nel genere umano è ripristinata, ma sicuramente sono rimasta piacevolmente colpita. 

Nel frattempo sto continuando a scoprire le funzionalità, con qualche batosta emotiva qua e là. Per esempio, una volta ottenuto il mio Chocobo personale, credevo di poterlo utilizzare per fare le corse al Gold Saucer, e che pensionando il mio amato Dodo Draconique di Rank 21 avrei semplicemente concesso a quest’ultimo un meritato periodo di ferie, con divano, tisana e parole crociate presso i pascoli del Black Shroud. Invece al momento di pensionarlo lo vedo allontanarsi con la testa bassa e il pigolio triste, con la dicitura che da questo momento il mio Chocobo è diventato di proprietà del Gold Saucer. A volte mi immagino ancora, mentre colpevolmente galoppo sul mio Lieutenant Gonzales, che ci abbiano fatto gli arrosticini. È un episodio di cui parlo malvolentieri. Se ripenso a Dodo che si allontana a strasciconi tutto triste mi sento ancora male.

Come sa chi segue il blog da qualche tempo, mi piace giocare in compagnia ed è così che si formano tanti cari ricordi, come un pomeriggio raffreddato a correre a destra e manca per la quest di Ifrit infamando Thancred con Cami perché mi fa spendere ottomila euro di teletrasporto solo per andare da punto A a punto B a punto C a punto D a sentirmi raccontare cagate; per non parlare di una serata trascorsa a guilt trippare il mi fratello affinché mi acquistasse un cappello a forma di Spriggan, sbottando: “Ora stai a vede’ non puoi compra’ un cappello alla tu’ sorella”; e quante cene fatte in casa prima della gaming night, con un rum e una canna, mentre ci lasciamo alle spalle le privazioni ascetiche dell’estate, così letale per noi addetti al turismo di mare. 

Come potete vedere, il guilt trip ha funzionato

Soprattutto c’è quella sensazione. Quella di mettersi a giocare volentieri. Di avere il pomeriggio a disposizione, come quando ero al liceo e mi chiudevo (nonostante tutto) su WoW per intere giornate.

Certo adesso ho qualche responsabilità supplementare, fra la casa e i cani e il lavoro e il romanzo che devo finire di scrivere sennò l’Azzimondi mi fa il cranio a mascé… ma sono tranquilla quando mi metto sul divano e accendo la play. Ho 32 anni e certamente adesso dire che sono felice è fuori tempo massimo, ma tranquilla sì, che è più di quanto uno si azzardi a sperare, quando passa quasi tutta la vita preoccupato per questo o quello.

Ho imparato a muovermi nel gioco e mi ci muovo volentieri, sto iniziando ad avere perfino qualche soddisfazione, forse mi sto innamorando leggermente di Thancred (mortacci sua), e sono di nuovo qui, felicemente noob, a giocare ai videogiochi con un mondo intero da scoprire mentre fuori diventa buio. E va tutto bene. 

PS: questo è il mio personaggio, se dovessi mai avere un lettore dalle parti di Spriggan!

Un altro giro su Final Fantasy X

Viene il tempo, ogni venti/venticinque mesi più o meno (sì, lo misuro in anni di infante), in cui decido di rifarmi un giro su Final Fantasy X; la procedura è sempre la stessa: inizio e mi rompo le palle, superata Luka comincio a fomentarmi e decido che prenderò il platino, arrivata alla Piana della Bonaccia mi strusciano i coglioni in terra, e infine mollo tutto dopo la boss fight di Seymour sul Gagazet. So che va così tutte le volte, eppure continuo a ripetere l’esperienza sempre uguale.

Final Fantasy X è stato il mio primo Final Fantasy. Certo ci sono stati il VII e l’VIII, ma non li ho mai giocati personalmente perché ero davvero piccola, e li ho visti giocare a mio fratello. Riguardo al VII c’è anche un post, mentre riguardo all’VIII non c’è niente perché purtroppo mi annoia da morire.

Final Fantasy X però è il primo che ho giocato e completato da sola, ed è un peccato che all’epoca non ci fosse il platino perché, a undici anni, con una coordinazione mente-corpo che oggi a 32 mi è purtroppo sconosciuta, ero riuscita a fare veramente tutto quello che il gioco aveva da offrire, incluso quell’incubo fra la sentenza alla berlina e la tortura di Torquemada di Zaffa Chocobo. Non sono mai più riuscita in seguito ad avere tutta questa pazienza. A ‘sto giro per esempio ho rinunciato ai 5 forzieri dei chocobo del tempio di Remiem alla prima avvisaglia di esaurimento nervoso, che si è presentato pressappoco alla seconda gara. Il platino si è rivelato un’idea decisamente ambiziosa.

E dire che l’ho giocato veramente mille volte. Non sono particolarmente fan della storia d’amore, non shippo nessuno dei personaggi (che per la sottoscritta è una sensazione alquanto mutilante), non lo considero il migliore e nemmeno uno dei miei preferiti, e a dirla tutta certe scene sembrano diventare più cringe mano a mano che invecchio.

Ma non so cos’è, se il senso di comfort ossessivo-compulsivo che mi dà la Sferografia Master con Rikku che rifila a un verme del deserto una legnata di Antiscutum che lo leva di sentimento, se il sistema di combattimento così rassicurante con quella bella musichetta festosa, o ancora se sia per il design, con quegli schemi di colori all’LSD e quegli NPC i cui abiti sono solo a 2 cm di distanza da avere tutto l’apparato riproduttore en plein air. C’è qualcosa di Final Fantasy X che è pura pace per me, e che mi ingiunge una nuova run ogni massimo due anni.

Potrei annoiarvi con tutti i ricordi di infanzia che ho su questo gioco, ma ho deciso di risparmiarvi e di accordarvi una semplice carrellata: io e i miei migliori amici che viviamo le estati della prima adolescenza a ricordare questo gioco della nostra infanzia mentre passiamo le giornate al mare; io che mi chiudevo in mansarda per giocare, da piccola, mentre MTV mandava i Gazosa, Valeria Rossi e naturalmente Sexy di French Affair, che ascoltavo avidamente malgrado all’epoca dovessi far finta con tutte le mie forze di essere metallara; la sensazione di rimanere a bocca aperta di fronte a tutto quel ben d’Iddio, le ambientazioni, le statue nei templi, i mostri, le cutscene, gli outfit dettagliati con tutti quei gingilli, Yuna in versione PAL che sembrava un barattolo rintozzito, e naturalmente la prima volta che scopri la verità su Yevon e ti senti come se fossi entrato in un intrigo ecclesiastico che francamente il Codice Da Vinci è un dilettante della domenica.

Niente hype su Twitter, nel 2001; e così giocavi veramente in grazia d’Iddio, senza nessuno che ti metteva ansia, senza dover finire in 3 giorni perché ormai ti è entrata la frenesia sociale, senza il solito mutual che tutti i giorni si lamenta in toni bellicosi che il gioco fa schifo e che chi lo compra si deve far curare, senza dover evitare gli spoiler e senza entrare in contatto a tutte le ore con centinaia di altri giocatori, un terzo dei quali insopportabili e un altro terzo che non hanno capito nulla, con quel terzo che si salva per carità d’Iddio. Gli anni 2000 erano anni assai bucolici.

Ci sono delle cose, giocandoci adesso, che sopporto male. O che per meglio dire mi triggerano il buon senso comune tipico degli adulti.

Anzitutto non mi capacito del fatto che un intero volume chiamato Dizionario Albhed serva ad apprendere soltanto una lettera. Ho capito che Tidus non è la stella più brillante del firmamento, ma che dalla lettura di un intero tomo sia riuscito a trarre come unico insegnamento la lettera “R” è un concetto che non riesco più a capire.

Non riuscirò nemmeno mai a farmi una ragione di quanto mi devo spaccare le palle nel Chiostro di Bevelle. Non serve nemmeno che aggiunga altro, credo: c’è qualcuno a cui piace il Chiostro di Bevelle, escludendo quelli a cui piace essere bruciati sui genitali dalla cera bollente? Negli anni mi sono impuntata più volte a fare i chiostri senza guida perché “Ma insomma, che sono stupida?” Ma quello di Bevelle NO. Quello riesco a sbagliarlo anche con la guida

E che dire di Tidus che non possiede quella conquista della civiltà contemporanea che è lo Sprint, e che procede con quella sua andatura molleggiata alla velocità di una lumaca, cosicché ci metti quattordici giorni ad attraversar il deserto di Sanubia? Anche il fatto che non si possa saltare, per me che attualmente passo il tempo girando per la Aetherite Plaza di Ul’Dah saltando come un’imbecille in cerchio, è una cosa che mi disturba.

E perché sempre Tidus che è il più pregiato giocatore degli Zanarkand Abes abita in una boat house di 10mq nei quartieri più malfamati del porto?

Quando invecchi cominci a bubbolare di tutte queste cose; ma anche ti rendi conto che alla fin fine Rin delle Case del Viante è un bel daddy e ti preoccupi perché fra 3 anni hai l’età di Auron e ti rendi sempre più conto che non sembra così vecchio per un 35enne, ma anzi che essere degli antichi catorci con ambo i piedi nella fossa a 35 anni è perfettamente realistico.

Final Fantasy X è una fucina di ricordi davvero preziosi, al punto tale che in diverse occasioni in macchina con gli amici dopo una serata è partita la Ola quando lo shuffle ha proposto Suteki da Ne. Non è stato solo un grosso punto di svolta nella mia carriera amatoriale di disegnatrice con tutti quei colori e quelle treccine a cazzo, e un grosso insegnamento su come costruire dialoghi pregnanti di significato (ovviamente mi riferisco ad Auron prima dello scontro con Yunalesca, eh, non a Tidus che sputa un polmone sulla terrazza di Luka). Non è stato solo materiale per fan fiction davvero cringe, con degli OC rudimentali rasentanti il ridicolo e che tendevano clamorosamente a copulare con Seymour Guado.

Penso che sia stato soprattutto il primo vero amore, la prima volta che qualcosa iniziava a girare per davvero, e il videogioco che per quanto mi riguarda ha aperto la pista a tutti i videogiochi. Ancora oggi è la mia garanzia di trovare qualche ora al giorno di pace per qualche giorno, di astrazione, di “i ciclisti francesi e i turisti svizzeri supponenti spariscono, i preventivi e le fatture non esistono più”. Una storia fra il comfort del conoscerla ridicolmente a memoria e l’affetto di rivedere una certa scena dopo anni come una faccia amica.

Perciò scusami Final Fantasy X se ti mollo sempre a un passo dalla fine perché dopo 20 giocate non sopporto più quella Piana di merda… e grazie di tutto.

PS: Vi ricordo che la vostra affezionatissima ha una serie di one shot in corso dedicata agli Intercessori e che, se volete veramente farvi un regalo da fan del X, dovete leggere questa qui.

Lazzaretto Day alle Rovine di Pitioss!

Se avete aperto questo post, forse vi siete solo incuriositi per la sfiziosa immagine di testa, o forse avete presenti anche voi le Rovine di Pitioss e avete pensato di rivivere il trauma come vi ha consigliato il vostro analista.

Si tratta di un dungeon di Final Fantasy XV assai gradevole (fra il pizzicotto sul ginocchio e la castrazione chimica), disegnato interamente dalla mente di un signore che non nomineremo per timore di invocare accidentalmente il Diavolo, e che misura circa ottocento chilometri di estensione in tutti i punti non-euclidei dello spazio.

È accessibile tramite una pratica pista di atterraggio di 40cm di lunghezza per 10 di larghezza dove schianterete la Regalia dieci volte, prima di capire come fare a far entrare una Bat-mobile in corsa in un sentiero delle Micro Machines; se non l’avete presente, immagino che alla fine questo articolo, mediante le lacrime e le bestemmie di cui (va detto) è farcito, ve ne sarete fatti un’idea.

La decisione di dedicare una gaming session sociale a Pitioss con Cami era nel calderone da tempo e ha finalmente visto la luce un pomeriggio in cui, positive al Covid, abbiamo deciso di smaltire una giornata malaticcia con un Lazzaretto Day.

Malgrado le finestre aperte, la casa è diventata in breve una camera a gas ove il virus ha subìto probabilmente diverse mutazioni di cui sentiremo parlare al telegiornale fino al 2025; le bottiglie di birra vuote che si accumulavano nel lavandino erano incompatibili sia con la concentrazione al controller che con la Tachipirina; i cani annoiati come pre-adolescenti alle seconde nozze della madre si rincorrevano su tutte le superfici abitabili mettendo a repentaglio le manovre complesse alla play.

In un primo momento abbiamo pensato di passare il tempo con Spyro, ma inutile dire che la prospettiva di andare avanti 12 ore a cercare gemme e cadere di sotto come babbee non ci sorrideva; meglio allora andare avanti 12 ore a cercare oggetti praticamente inutili su FFXV cadendo, anche qui, come babbee ma molto, molto più spesso. E senza i colori concilianti e le atmosfere zuccherine.

Pitioss è un altro di quei dungeon dove il lore te lo devi inventare stando a guardare le statue e tutto il resto dell’apparato; come molte cose su Eos è pretty much messo lì e basta, ad avere un feeling generale di mistero inquietante, a stimolare l’immaginazione del giocatore chiamato a collaborare per il riempimento degli spazi vuoti di un gioco ridotto a un Emmentaler pieno di buchi. A livello di gameplay il dungeon si presenta come dieci infinite sezioni di puzzle e labirinti da risolvere fra il Tomb Raider e il porcoddio, mentre ti cimenti in un meccanismo da platform.

Sia messo agli atti che se c’è una cosa che odio nella vita sono i platform. Anzi, a dire il vero, odio una cosa ancora più dei platform, in tutti i tipi di gioco: ripetere le cose ottocento volte, fare lo stesso salto per tutta la giornata, imparare a memoria le boss fight a furia di ricominciarle da capo, trovando dentro di me per motivi non precisati la voglia di resistere all’urgenza di abbattere la play a martellate decise. Diciamo che posso fare qualche eccezione, appunto con altri tipi di gioco, ma quella voglia di trarre soddisfazione dal completamento delle sfide impossibili io assolutamente non la percepisco con i platform; o almeno così credevo fino a prima di Pitioss, che, in effetti, con queste premesse, avrei dovuto evitare come il banco della porchetta del mercato all’1 del pomeriggio. Ma a volte la porchetta è un richiamo troppo forte.

La fase dell’atterraggio voglio concluderla velocemente, perché è un ricordo troppo doloroso.

1. La Regalia volante, certamente perché qualcuno ha pensato che fosse una buona idea assegnare la cloche a Noctis, ha i comandi di una signora ottuagenaria col carrello del Conad.

2. La volta che credi di esserti abbassato per tempo, di essere ben dritto e di aver rallentato al punto giusto, ti rendi conto che i simpatici sviluppatori (in accordo coi budelli sanguinari delle loro mamme) hanno inserito un’enorme calanco in basalto proprio davanti alla tua traiettoria in modo da inculare per bene i giocatori che (furbini!) pensavano di iniziare ad abbassarsi piano piano.

3. La Regalia esplode con facilità come se avesse il motore pieno di polvere da sparo. Naturalmente a volte uno si schianta sul fianco di una formazione rocciosa, e ok; ma nel corso dei nostri tentativi, è esplosa toccando la superficie dell’ acqua, sfiorando appena con lo pneumatico destro un pezzettino di ghiaia abbandonato sulla pista, planando dolcemente su un terreno leggermente sterrato, e via dicendo.

Dopo aver scarpinato nella zona vulcanica evitando i Molboro di livello 50395923 che non aspettano altro che importi tutti in coro 46 status alterati per i quali non ero assolutamente attrezzata (il salvataggio recuperato per questa missione era di una mia giocata veloce solo per vedere la trama, e il mio inventario contava 34 guil, 10 granpozioni, 1 tonico e una serie di medaglie commemorative), eccoci giunti a una bizzarra struttura a cubicolo dove in breve si apprende di dover aspettare la notte perché la porta si apra, col campeggio dall’altra parte della valle (e dei Molboro). E che ci vuole, sono le 7 di mattina in-game: tempo di portar fuori i cani, fumare una sigaretta, bere un caffè, lavare i piatti, spazzare la cucina, andare al bagno, nutrire i gatti, rispondere su twitter, controllare le email, fare un reso su Amazon, limarsi le unghie, farsi una doccia, filtrare l’olio della padella per friggere, suddividere i biscotti dei cani in ordine di forma e grandezza, un rapido trattamento anticalcare al gocciolatoio dello scolapiatti e via: in men che non si dica (?) si entra a Pitioss.

Innanzitutto non era come mi aspettavo, cioè una caverna con i pietroni, il muschio, i mostri e compagnia bella. Senza nemmeno un combattimento per tutto il dungeon, Noctis si ritrova solo come una pippa in mezzo a uno spazzo assai concettuale, tipo quelle case d’artista tutte in antracite con ogni tanto una scultura a forma di semplice sfera e i punti luce collocati in modo tale che non si veda un cazzo. Il funzionamento è semplice (???), vai avanti risolvendo puzzle e labirinti, ogni volta premendo dei pulsanti che ti mandano ulteriormente avanti. Due sono le costanti della experience: la difficoltà delle operazioni aumenta sempre di più, e ogni volta che transiti verso un’altra parte dici IMMANCABILMENTE: “Bene dai ormai ci manca poco”.

… Siamo state dentro Pitioss dalle 14 alle 22.

Dubito di avere dei redditor tra i miei 25 lettori, ma se ce li ho, immagino il loro oltraggio: “Pitioss si può completare in 54 secondi senza mai girare la telecamera, bendandosi un occhio per privarsi della sensazione di profondità e intonando l’Inno alla Gloria in lingua originale” — “Pitioss l’ho finito in 10 secondi netti al primo tentativo senza mai cadere, o bestemmiare, o piangere, mentre con una mano reggevo il controller e con l’altra un maschio particolarmente belligerante di casuario”.

… Noi siamo stata dentro Pitioss
Dalle 14
Alle 22. E senza casuario.

Iniziamo prima col discolparsi, perché va bene tutto, ma scusate: Final Fantasy XV, con il bene immenso che gli si vuole, era meglio se un livello platform non lo metteva.

Le animazioni di Noctis, tanto per cominciare, sono esageratamente dettagliate per sottoporsi ai salti precisi e alle misurazioni millimetriche.

Vuoi fare appena appena un mezzo passetto a sinistra per iniziare il salto nella direzione giusta? No, stronza, perché in questo mezzo passetto Noctis troverà la maniera di scivolare in avanti di venticinque metri come se avesse ai piedi le cazzo di pattine, e cadrà su un tappeto di spuntoni incandescenti.

Hai calcolato con precisione da dove iniziare il salto per atterrare esattamente sul margine della sporgenza verso cui sei diretto? No, vacca, perché Noctis ha deciso che in fase di atterraggio deve rotolare per acquisire maggiore realismo, e così facendo caracollerà esattamente nel dirupo che ti teletrasporterà fatalmente all’inizio della sezione, dove ti trovavi un’ora fa. Sempre che un glitch non ti porti ancora più indietro.

Stai facendo dei passetti misurati per non cadere dalla sbarra di ferro mentre cerchi di raggiungerne il fondo? No, cogliona, perché dopo ogni passetto Noctis deciderà di inciampare per quattro metri, di fare stretching alla spalla, sbilanciarsi e rotolare per mezz’ora, di spostare il peso su una gamba fino a scivolare lateralmente di quaranta centimetri, di tirarsi fuori dalle tasche le parole incrociate e accennare la risoluzione di un rebus, di mettersi ritto su una mano sola danzando un Waka Waka inverso e di grattarsi i coglioni fino a rotolare in un precipizio.

Se poi ci mettete anche che relazionarsi con la telecamera in questo dungeon è come dover anche badare ad un bambino totalmente stupido che non fa che andare dove gli pare urlando, avete completato il quadro del perché, ritengo, Final Fantasy XV non sia appropriato per questo genere di cose.

Ma andiamo avanti.

A me le rovine di Pitioss sono piaciute.

Innanzitutto ho coltivato qui dentro dei ricordi edificanti che mi accompagneranno per tutta la vita: Cami che mi urla dietro che devo smettere di saltare sui cornicioni incompatibili con la gravità per recuperare gli “oggettini” che poi tanto sono sempre dei troiai inutili; il Dio del nostro grande monoteismo con la trinità e la sacra famiglia che si accendono dei mille colori del porco, del maiale, della bestia e del serpente; io che descrivo il da farsi a voce alta mentre salto per farmi coraggio (precipitando nel vuoto ogni volta che dicevo “e quindi, automatiHamente—“); i nostri sorrisi iniziali che finiscono per trasformarsi in una smorfia mentre iniziamo a scoraggiarci bubbolando “Che schifo questo posto, è impossibile, che schifo”; e ovviamente l’odio montante nei confronti dell’ultimo rampollo della dinastia Lucis Caelum, con l’augurio che possa al più presto riportare la luce su Eos in modo poi da morire ammazzato.

Esteticamente il dungeon diventa francamente più bello mano a mano che si va avanti, è solo che nel frattempo i salti che ti vengono richiesti diventano incoerenti con la carta fondamentale dei diritti umani, e tu non riesci ad apprezzarlo come merita. Ma c’è tutto quello che una non-più-giovane cresciuta su internet con i racconti di Lovecraft e le illustrazioni dark fantasy con le donne nude può desiderare: architetture severe che ruotano al tuo passaggio, passaggi di pietra sospesi su un abisso nero di duemila metri in fondo al quale si intravede l’arcigna statua di una signora scollacciata mentre non capisci più cosa sta sopra e cosa sta sotto, forti chiaroscuri in cui non si vede assolutamente una sega, pareti da percorrere in verticale mentre la visuale gira su sé stessa, spuntoni rotanti, palle di ferro e perfino delle sezioni in 2D dove uno dice, siamo in 2D, giusto? E INVECE NO, perché c’è comunque anche la profondità (?) e quindi cadi daccapo nel precipizio invocando quel cane di San Pietro con tutti i suoi colleghi.

La ricompensa finale del dungeon, va detto, non serve praticamente a nulla considerando che è un contenuto post-game dove presumibilmente non ti serve più a niente un aggeggio che ti facilita le parate. Il resto del loot, insomma: qualche accessorio carino che però probabilmente a quel punto il giocatore medio ha già acquisito in quadruplice copia altrove, e una serie di blocchi di pietra che francamente non ho ben capito Noctis dove si è infilato per trasportarli fuori alla luce del giorno. Niente achievement, perché nonostante tutto gli sviluppatori hanno avuto la decenza di non rendere Pitioss necessario per il platino. Niente cutscene al termine dell’esperienza, anzi, laddove io francamente mi sarei meritata 50 minuti di video celebrativo delle mie gesta, ci sono i tuoi amici che, dopo che hai trascorso dentro le rovine 2 settimane di tempo in-game, avendoti aspettato comodamente all’esterno consumando cup noodles, si limitando a dirti “Tutto risolto?” Con anche quella punta di sarcasmo per averci messo tanto.

Però, madonna se mi sono piaciute le rovine di Pitioss. D’accordo che ho un modo strano di dimostrarlo visto che mi sono lamentata per tutto il post, ma io, come vi dicevo, da casual gamer fino al midollo, ho sempre schivato come la peste qualsiasi circostanza nei videogiochi dove devi ripetere le stesse cose più volte. Non ho semplicemente la forza di volontà. A dirla tutta, non so bene come ho fatto a esplorare due regioni di Elden Ring, ma in compenso so benissimo come mai dopo di questo ho mollato. Se non fossi stata in compagnia, francamente, Pitioss l’avrei mollato lì. Vi ho parlato del fatto che non puoi salvare al suo interno, e quindi o lo molli o lo finisci? È quella sensazione che ti fa sentire in trappola dentro un attacco d’ansia travestito da rompicapo.

Ho sempre pensato che la soddisfazione di completare una prova difficile fosse un’invenzione dei gamer incalliti per giustificare i pomeriggi buttati a spaccare casse su Crash Bandicoot. Invece, completate le rovine di Pitioss, mi sono ritrovata ad avere un rush di adrenalina che non ho dormito un cazzo (anche perché le architetture severe di cui sopra continuavano a ruotarmi nel campo visivo tipo incubi residuali sulla retina), e diversi ricordi in più di un pomeriggio passato a ridere e lamentarsi nella sventura condivisa.

Ve lo consiglio? NO. È stato memorabile? Assolutamente sì. Però comunque porca puttana veramente.

Considerazioni solo tangenzialmente serie su Basch x Balthier

Considerazioni solo tangenzialmente serie su Basch x Balthier

Io non sono tanto il tipo da OTP e quant’altro.

Vuoi che posso aver interiorizzato per errore la misofangirlia degli inaciditi dell’internet e il mondo delle ship mi ansia (a onor del vero è difficile trovare qualcosa che non lo faccia), vuoi che le sigle e il gergo dell’ambiente si muovono a velocità eccessive per il mio cervello eremita e maladattivo che su tumblr non ci ha mai capito un cazzo e a cui i tag di AO3 sembrano misteri della Cabala… ma per me formare le coppie nei prodotti su cui scrivo fan fiction è sempre stato più come organizzare il matrimonio combinato dei propri figli cadetti in base alla convenienza del proprio casato. Ho messo insieme più soggetti poliamorosi perché tornava bene col senso di closure e i parallelismi di quanti mi piaccia ammettere. Per me è come cucinare, scoprire che posso mettere la curcuma col salmone, e compiacermi del risultato perché sento quel “clic” che fanno le cose quando vanno al loro posto. Non ho molte coppie di cui posso definirmi davvero fan.

Però però, cosa dire di Basch e Balthier.

Siccome in genere quando dico “cosa dire?” poi dico, tipo, sedici post di 500k parole, cerchiamo di imbrigliare subito l’articolo in una parvenza di decenza e di farla breve. Non scuotete la testa alzando gli occhi al cielo, vacche

Questo comporta che non potrò adesso scagliare strali a grappolo contro quelli che “Eh Ma In FinAL FanTAsY XII i XSonagGI nOn Si FiLAno”. Le ripongo nell’apposita pochette dove tengo le pedate sull’osso sacro dedicate ai latori di questo tipo di osservazioni e resto senz’altro in argomento.

Also, non metto headcanon in questo post. Ne ho pochi su di loro, principalmente basati sul concetto per me autobiografico di Balthier che è feisty ma è in cerca di un daddy compassato perché orfano di autorità paterna + il denial perché, a parte che il denial ci sta sempre (letteralmente sempre, dai), ma poi c’ho tutta questa narrativa di Balthier seduttore in fuga che però si spezza il cuore da solo e di Basch che si ostina fino all’ultimo a considerare la cosa alla luce dei propri doveri.

Aspetta cazzo, alla fine ce li ho messi, quindi.

Andiamo avanti…

Innanzitutto io non dico che debbano scopà.

Anzi, a dirla tutta, scrivere Something Human mi ha fatto capire che il fatto che facciano sesso è la cosa che mi interessa di meno di tutto l’ambaradam. Poi le esigenze editoriali esistono, e così ho dovuto mettere le scene di sesso perché sennò l’Azzi, malgrado siamo amici da quindici anni, mi levava il saluto, e non posso dire di non essermene compiaciuta e deliziata anzichenò… ma quello che voglio dire è che il rapporto e le interazioni fra questi due mi rendono felice a prescindere dalla conclusione più ovvia per uno slow burn. Comunque, il giorno che scriverò uno slow burn che non finisca nella canonica scopata fra l’aggressivo e il liberatorio probabilmente non mi vedrete più, perché oh, io sei lettori ho, ma sono tutti e sei allupati e armati di lupara.

Potrei adesso andare in cerca di screenshot da dialoghi e GIF estrapolati dal gioco alla bisogna, ma chi sono io per avere una sega voglia alle ore 21:53 addirittura di documentare quello che dico? Andrò a caso – col vostro permesso, ma anche senza, come diceva il mio prof di inglese alla triennale.

Però vi faccio prima un esempio per farvi una premessa.

Avete presente quando Basch va in cerca di Balthier per scroccargli il transfert dopo essere magicamente ritornato in carne in poche ore, dopo la sua fuga da Nalbina?

Io non sono qui a dirvi che già lì ci vedo qualcosa (intendo dire nel materiale ufficiale stricto sensu, poi coi pairing goggles si possono vedere miracoli ovunque) ma il punto di questo genere di cose per me è avere in mano un’argilla che si lavora bene, e non un canon che mi dà ragione.

Anche perché, secondo me, nelle fan fiction la ragione te la dà la credibilità di qualsiasi cosa tu ti sia inventando, e la credibilità te la dà un complesso di skill tue come scrittore, fra le quali non figura aderire pedissequamente al verbo del canon.

Insomma questo esempio serviva per dirvi che in questo post tutto è completamente gratuito e arbitrario, thanks for coming to my TED talk.

Tornando a bomba.

Con OTP intendo che io, in quel punto, posso pensare che Balthier abbia lasciato in Basch un ricordo residuo dalla loro fuga e un principio minuscolo di piacere al pensiero del nuovo incontro, e questo non è suffragato da niente, ma oh, io voglio stare lì a non seguire nemmeno il dialogo perché c’ho da sognare che Balthier sta pensando remotamente a Basch incontrato in prigione mentre butta giù un bicchierino, e tant’è. E poi va bene, Basch, amore, ma se mi sbatti lì la frase “even caged birds need wings” io come faccio a non imbastire tutto un cucuzzaro di pulsioni represse nella gabbia dell’autocontrollo e dei giuramenti annaffiati con l’angst in cui Balthier diventa le tue ali? Dai oh, va bene tutto, ma so’ umana pure io.

Credo che avere una OTP sia avere una storia che ti fa mettere comodo e ti fa esprimere liberamente, come trovarsi per un drink con la tua gente preferita, quelli che non fanno una faccia stranita quando fai battute sul ciuffo di peli che il tuo cane ha sul pisello (lo stesso non si può dire del cameriere di quella sera, ma restiamo in argomento).

Perciò quando i due battibeccano sulla Strahl subito prima della fuga da Bhujerba, io come si suol dire godo come un topo nel formaggio.

C’è Basch genuinamente preoccupato per le sorti della principessa rampante che decide di allearsi con degli aviopirati, ma c’è anche che è lui il primo a prendere le difese di Balthier di fronte a Vossler; per essere un trentaseienne serio come un film sperimentale svedese, è stato veloce a vedere del buono in Balthier. È vero che ancora dai Garif Basch non è sicuro delle motivazioni di Balthier, ma mi piace pensare che abbia sempre saputo di non doverlo considerare un pericolo, e che lo rispettasse da subito, a differenza magari di Vossler che era condescending e incartapecorito come esige il codice cavalleresco di Dalmasca. D’altra parte poi Vossler scommette sul cavallo sbagliato, l’Impero, e Basch mi ha sempre ammazzata d’amore per la sua scommessa su un party di ragazzini col cuore al posto giusto ma zero carte in regola.

Devo forse aggiungere che la combinazione fra l’austerità signorile di Basch col sarcasmo sassy di Balthier mi fa volare a propulsione spaziale? Io sinceramente sono tentata di dare il merito a Balthier se ad Archades Basch fa addirittura una battuta, ma anche Balthier è cambiato, visto che non fugge più da suo padre. Anche qui non voglio dire che il canon suggerisca che sia stata l’influenza reciproca a fare il miracolo, ma sicuramente quando li scrivo mi piace scriverli così. Poi oh, se per qualcuno le interazioni fra i personaggi del XII sono inconsistenti perché non è capace di immaginarsi nemmeno quanto fa 2×2 se non viene esplicitamente dichiarato quattro volte dal protagonista, dal cattivo, dal narratore e dalla voce fuori campo del tutorial, quello non ci si può fare nulla, la Pimpa dovete leggere, la Pimpa

A proposito di gente che legge la Pimpa, o comunque che dovrebbe farlo: ma seriamente c’è chi non si è accorto di tutti gli sguardi che si scambiano Basch e Balthier nel corso del gioco? Boh bimbi-

Lasciamo stare di metterli insieme nelle fan fic, ma in nome di Cristo, io magari mi motivo con poco ma gli sguardi di commiserazione che si scambiano subito dopo ogni momento topico in cui qualcuno mette in pratica una pessima idea sono ciò che mi tira innanzi nei giorni bui in cui le bollette di tutte le mie utenze arrivano nella stessa consegna. A me questa dinamica degli unici due uomini assennati in un gruppo di ragazzini kamikaze mi uccide non si dice “a me mi” gne gne

Come dire, è un mix di: “ce li vedo tantissimo a scambiarsi considerazioni di ordine pratico e tattico o a parlare di rivolgimenti politici mentre Vaan è impegnato a cercare di insegnare a una Ashe segretamente non così disgustata a fare le scoregge con le ascelle” + “ce la vedo tantissimo questa cosa a degenerare nelle provocazioni di Balthier che diventano pesanti ma che non lo mettono nemmeno nei guai perché tanto Basch è tipo quei cani enormi buoni come il pane” –> questo è il punto dove devo generalmente farli scopare, prima che l’Azzi esca il ferro.

In effetti in parte mi sento felice quando gioco a FFXII ancora, ancora e ancora anche perché mi piace vederli lanciarsi occhiate d’intesa nelle retrovie; mi piace sentirli commentare qualcosa che è successo con quel senso di voler essere guardinghi ma di aver trovato l’intesa; mi piace che, se Balthier e Fran sono soulmates, Basch e Balthier in pochissimo tempo arrivano a formare un altro duo, come se si conoscessero da sempre.

Mi piace anche la fine, perché è triste da far schifo, ma è giusta: nelle fan fiction piace anche a me scrivere che, nella loro infinita indipendenza dall’amore, scelgono innanzitutto di ascoltare la propria chiamata e di seguire la vita dove ha deciso di portarli (i giuramenti di Basch, la libertà di Balthier), invece che indulgere nella vita di coppia. Credo che anche questo piaccia poco di FFXII ai suoi detrattori, eppure secondo me è uno dei suoi più grossi punti di forza: nessuno modifica la propria vita in nome dell’amore romantico, anzi, anche se ha cominciato a provare qualcosa per qualcuno non asseconda nemmeno il sentimento, perché prima vengo io, e le cose che devo fare io. SCST ma per me questo è il top della narrazione, non mi dovete tritare le palle che non ci sono le coppie in FFXII.

E poi, se posso immaginarmi le incursioni clandestine di un certo aviopirata nelle stanze del Giudice Gabranth, io sono felice a prescindere.