Salve bimbi, ho deciso di fare un post di autodenuncia per esplicitarvi il disagio di soffrire di ansia conclamata ma avere comunque subito il fascino dell’Interregno, cosa che in genere risulta in me che mi lancio contro un drago di scintipietra urlando come Germano Mosconi mentre gli amici stanno pronti dietro col numero dell’ambulanza già composto in caso di fibrillazione ventricolare. Here goes.
Tanto per fornire del context, sì, appunto, ho l’ansia. Nel mio caso è semplicemente una delle 14.539 comorbidità collegate al disturbo bipolare ma comunque, essendo in cura ormai da un certo tempo, è quel genere di cosa da cui posso dire di essermi abbastanza tirata fuori.
Ho iniziato a soffrirne quando dopo le superiori mi sono trasferita da sola a Trieste e tutta la mia baldanza adolescenziale è naufragata immediatamente in un lunghissimo episodio depressivo e di ansia sociale che mi ha reso la vita un inferno solitario per qualche anno. Siccome questi aspetti si accompagnano in me ad un bisogno irrefrenabile di esperienze nuove accatastate l’una sull’altra per colpa di un bad case of FOMO, ho vissuto in seguito in Inghilterra, in Russia e in Croazia, ma mi sono sempre portata l’ansia dietro, ritrovandomi all’ombra di me stessa in stato praticamente di hikikomori a Zagabria, a mangiare borek al formaggio finché non ho preso 15 chili e ho sviluppato un’imponente pappagorgia.
Negli anni, fino a che una carriola di medicinali al giorno ha cominciato a sortire il suo effetto, l’ansia mi ha dato tutto il pacchetto completo: un comportamento rabbioso e impulsivo da vittima di traumi incrociata con una psicopatica totale, la sensazione di dover vomitare quando parlo al telefono, attacchi di panico al supermercato e il disperato tentativo di focalizzarmi sul cartellino del prezzo delle salsicce per rifugiarmi nei dettagli quando il mondo comincia a girare a velocità supersonica.
Quando ho iniziato a studiare a Pisa, dopo aver cambiato nel frattempo 3 o 4 città, ero terrorizzata dal treno (che prendevo dieci volte a settimana), non potevo guidare perché gridavo furiosamente se vedevo un road kill, non potevo più viaggiare da sola perché le partenze per i viaggi mi riducevano a un fascio di nervi con manie di controllo e deliri di accerchiamento.
Poi, a forza di terapia farmacologica, ho iniziato prima a tremare e vomitare un po’ meno, gli episodi in cui mi accasciavo sul letto borbottando alla mia povera madre che “questa vita per me è come un lentissimo cancro” diventavano sempre più rari… e infine ora dirigo un albergo dove ogni 24 ore succede un casino che mette potenzialmente a rischio tutta la stagione turistica e il lavoro di 1 presidente, 3 consiglieri, 15 fornitori e 20 dipendenti, guido in tutta Italia da sola col mio cane, vivo per conto mio e le novità che mi terrorizzavano sono diventate indispensabili per me.
Quindi dicevo che in generale mi ci sono tirata fuori, ecco. Quanto meno la gestisco, o la ignoro. Ma si sa che nella vita la cosa più difficile da cacciare di casa sono gli ospiti indesiderati. Come quella vicina che la guardi male quando ti mette le mani nella recinzione per fregarti i fiori e te la ritrovi tipo all’alba in tenuta stealth mimetica che ti concupisce la strelitzia, o quella zia pazza che ti lascia in casa per quattro giorni dopo la sua partenza il lezzo irrimediabile di un profumo esagerato alle rose. Sono presenze che rimangono, tipo infestazioni spettrali. E niente come Elden Ring mi ha fatta rendere conto del fatto che un po’ di ansia, dopotutto, è ancora lì.
Poche cose io so nella vita: che quando un prodotto al supermercato è in offerta non devi farti fregare e devi confrontare i prezzi al chilo, che il black Friday è un’inculata, che i vetri non si lavano quando ci batte il sole e che mai sarei stata capace di giocare a un Souls. Punto.
Per i Souls, era tutto un misto di cose. Innanzitutto ho sempre considerato una fetta del loro fandom abbastanza irritante, tipo i maschietti alle scuole elementari che tirano le trecce alle bambine. In secondo luogo il solo pensiero di provarne uno mi paralizzava.
Non essere capace di fare le cose mi fa sentire stupida, e sentirmi stupida mi mette in imbarazzo, e essere in imbarazzo mi manda in panico. Fallire mi terrorizza. Io devo essere sempre preparata. Morire nei videogiochi per me non è parte di una curva di apprendimento ma un confronto inesorabile col proprio fallimento come essere umano in generale. Di conseguenza, entrare in un dungeon sapendo che ci sono buone probabilità di essere attaccati a sorpresa da un orrendo bestio con arti sovrannumerari o di ritrovarsi nella merda era una possibilità che non mi sorrideva.
Io il nemico lo devo vedere da 3 km di distanza, capite. Mi avvicino che gli ho già fatto le lastre e ho già pensato a cosa devo fare in anticipo. Io devo stare nella Piana della Bonaccia e sapere che a nord ovest ci sono i nemici forti e a sud quelli deboli, in una inespugnabile intelaiatura di certezze. Io devo sapere che se mi trovo nell’angoscia posso overlivellarmi di quei 4/5 step che per me sono come la copertina di sicurezza. Per non parlare delle atmosfere inquietanti: tenete presente che a me, del film vagamente thriller “La casa dalle finestre che ridono”, prima di farmi coraggio e guardarlo, faceva paura il titolo. Il titolo.
Eppure sto giocando a Elden Ring. Com’è successo?
Esteticamente non ho saputo resistere. L’innamoramento nei confronti degli artwork ufficiali è iniziato come una semplice sbandata, qualche timida occhiata ai video sul lore, un tripudio di paesaggi e di irresistibili backstory tragiche hanno fatto il resto. Bisognava che ne facessi parte anch’io. 70 euro sono tanti da spendere per un gioco dove probabilmente scoppierai a piangere dal nervoso nei primi 4 minuti di gameplay, ma non mi interessava perché a quel punto era subentrata anche una particella di orgoglio: e se imparassi a fare qualcosa che ho sempre considerato impossibile e facessi parte anch’io delle cool people che giocando ai Souls senza mandar giù lo Xanax con la doppia camomilla invecchiata in barrique di valium con 89 gocce di valeriana officinalis?
Le fasi iniziali sono state indimenticabili, va detto. Dopo aver scaricato il gioco l’ho letteralmente tenuto lì quattro giorni prima di capire che dovevo convocare una cena sociale per iniziarlo col supporto degli amici infermieri.
Ma prima l’ho acceso per crearmi il personaggio. Non che la cosa sia andata molto bene: quando la musica è cresciuta nella schermata del titolo mi è schizzato il cuore fuori dall’esofago e sono rimasta con la tremarella alle mani per 45 minuti. Poi ho creato il personaggio in 35 minuti e mi è uscito un roito anale con le guanciotte da pupo, ma quello è un altro problema.
Se si trattasse di essere emotiva come una giovane dama del periodo Regency che resta allettata quattro giorno dopo uno scampagnata troppo ricca di emozioni, mi andrebbe anche bene. Ma il fastidio principale dell’ansia come patologia vera e proprio, per me, sono le ripercussioni psicosomatiche. Se è vero che, grazie ai sedativi, gli attacchi di panico ormai è già da un anno che sono (quasi) un ricordo, quando sento un failure generalizzato che parte dal petto e arriva alle budella ogni volta che penso di giocare a Elden Ring mi sento veramente un’invalida. Non c’è niente che mi faccia sentire più idiota. Sì, sì, lo so: non identificarti nella tua patologia, ecc ecc. Se avevi il braccio ingessato, non ti saresti data della stupida, ecc ecc. Teoria perfettamente valida. Ma non funziona. Le mie spoglie mortali mi danno dei limiti e io mi incazzo, semplice.
Sapete quanto ci ho messo a giocare come si deve? Non dico a livello di skill, perché di quella non mi posso lamentare; insomma, mi lamento sempre che sono una pippa, ma penso di non essere tanto male, anche se ho fatto Rennala con la katana di livello 2 perché avevo troppa paura di entrare nei dungeon sottoterra a cercare le pietre da forgiatura. Dico a livello di mettermi a giocare da sola, una banalità per la maggior parte della gente, e anche per me, certo… con altri giochi.
La prima volta che un troll mi ha spiaccicata malamente, non ho giocato per tre giorni. Sì, il troll. Quelle cazzate di mostri livello scuola materna che letteralmente ci giri intorno, resti in movimento, e dopo quattro colpi li ammazzi. Ma era enorme, era brutto come un Maurizio Costanzo decomposto e infilato nel tira-impasto, e faceva un verso assurdo, che vi devo dire. E poi lì vicino si sentiva anche un cristiano che urlava malissimo. Il fatto di non avere mai capito, nemmeno andando su reddit, chi cazzo è che stava urlando mi dà tutt’oggi i brividini.
La volta dopo, ho deciso che avrei provato a liberarmi del carrozzone di Sepolcride, sapete quello che se ne va in giro con due troll imbullonati al carretto e tutta la scorta? Già il fatto che i troll fossero due e per giunta infilzati macabramente da due puntelli mi rendeva la cosa incompatibile con l’equilibrio mentale: il problema dell’ansia quando si gioca a Elden Ring è che purtroppo ti senti come se fossi lì da vero. Massima immersione, eh, per carità. Ma dè.
Ma sapete cos’altro è da sempre incompatibile con l’equilibrio mentale? Il mio orgoglio. Sapete quante volte ho dato l’impressione di non avere l’ansia solo perché mi sarei cavata gli occhi piuttosto che tirarmi indietro e fare una cosa che “L’ha fatta pure quel rincoglionito che era con me alle superiori e lui è un idiota che negli anni 10 si vestiva De Puta Madre, che io sarei più stupida?”. Non ce la faccio. Devo. Ne va della mia dignità.
Dopo venti ore di gioco, ormai accendo la play da sola (non proprio sempre, eh, deve essere la giornata giusta, e 20 ore le ho fatte in un mese perché dopo venti minuti di gioco sono uno straccio). Tutto bene, dai. Pensate che ho fatto Raya Lucaria tutto da sola (ma solo perché era pretty e non era sotto la cazzo di terra, sia chiaro).
Mi butto nella Tomba dell’eroe degli Acriti e stranamente mi batte il cuore solo un pochino quando devo schivare i chariot, e mi sprofonda il morale sotto i piedi solo vagamente quando devo andarmi a rinfilare in un buco di culo allucinante a recuperare le rune. Poi la mia strategia di contenimento dell’ansia è farmare tante di quelle rune d’oro che appena devo fare qualcosa di difficile posso sempre usarle per fare un livello e avere meno da perdere. Insomma, anche se c’hai l’esenzione psichiatrica e sei deficiente, basta organizzarsi.
Dopo venti ore, dicevo, Rennala è stato il mio primo road block. Devo averci provato almeno 15 volte. Combattuta tra una profonda adorazione per il personaggio e la sua boss fight e un’agitazione furiosa tale che quando le mancavano pochi HP mi alzavo e giocavo dall’impiedi mentre giravo intorno al divano, ho avuto l’impressione che mi potesse venire un infarto. Sul serio, sapete. Sentivo dolore al petto, non solo batticuore. Mani e piedi gelati, dita intirizzite, quella sensazione di disperazione mista a “dai stavolta ce la posso fare”. E una componente di “L’ha fatta in due volte quello youtuber che parla come una gallina e pensa di essere simpatico, che io so’ più stupida?”.
Eppure sapete che succede coi boss che ripeto più volte? Diventano un po’ di casa. Quel cazzone che dio mio non vuole morire. Ti ci affezioni. O almeno, a me succede, ed è facile capire perché: perché, ripetendolo più volte, io non ho più nessun tipo di incognita o di sorpresa, so che devo prendere il tempo giusto, imparo le animazioni, e basta. Ormai ho superato la prima morte che mi fa rimanere male e strappare i ventricoli, le seguenti 2/3 che mi fanno sentire cogliona. È familiare, non fa più paura. Perciò in effetti si può giocare a Elden Ring e soffrire di ansia: anzi oserei dire che il gioco consiste letteralmente nel lavorarti l’ansia a cazzotti sugli incisivi finché non te la fai passare con violenza.
Oggi ho quasi terminato le cose importanti da fare a Liurnia e mi appresto a eseguire il volere della mia signora e padrona Ranni esplorando il fiume Siofra in compagnia di Blaidd e della sua bella voce radiofonica, unica isola felice in un gioco che sì, tutt’ora mi spaventa tantissimo. Non più a livelli paralizzanti, ma io la sensazione di dire “Oh che bello sono libera per due ore, giochiamo a Elden Ring!” non la conosco. Per me resta un’impresa che mi richiede preparazione psicologica, sopportazione del disagio psicosomatico e rigorosamente la giornata giusta.
Però posso dire che non me ne sono pentita. Tutto sommato, sto imparando a fare qualcosa di nuovo. Che è, poi, la maniera migliore per vendicarsi dell’ansia, compagna di mezza vita, relazione fatta di abusi e tormenti, che ha cercato per anni di convincermi a non rischiare e fortunatamente non ci è mai riuscita.